venerdì 6 maggio 2016

FIVE BY FIVE #15

Vi ricordate i Viet Cong? No, non quei Viet Cong, quegli altri. Quelli con le chitarre al posto dei Kalashnikov. Ebbene, non esistono più o meglio, non esistono più in quella veste. Come forse vi dissi tempo addietro avevano deciso di cambiare nome dopo essersi visti negare alcuni show negli U.S.A. a causa del loro nome che, cito, “offende la comunità vietnamita”. Dalla scorsa settimana i Viet Cong sono quindi i Preoccupations che, senza tante cerimonie, suona proprio da schifo come nome per una band. In un altro momento una storia del genere sarebbe andata ad aggiungersi a quell’elenco di stranezze, contraddizioni e assurdità degli altri popoli, quelle che si snocciolano nelle conversazioni per strappare un sorriso, ma in queste settimane, forse, quel sorriso è velato da una certa inquietudine, almeno per quanto mi riguarda. Donald Trump potrebbe diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America e Trump ce la mette tutta per rappresentare quella parte di ognuno di noi che gode nell’odiare, mentre i Viet Cong devono cambiare nome per suonare nei locali.
Tutto d’un tratto Preoccupations non suona poi così male.



In questi giorni sono in vena di elettronica sperimentale e le nuove uscite sembrano assecondarmi. Andy Stott è un produttore di Manchester e ha pubblicato una manciata di perle negli ultimi dieci anni, su per giù. Io l’ho scoperto relativamente tardi, nel 2014 con Faith in Strangers, e dopo un certo numero di ascolti fisiologici per riuscire a metabolizzare il suo sound, ho iniziato a seguirlo con attenzione. Too Many Voices è il suo quinto album, come ho detto non è facile, soprattutto al primo ascolto, ma la traccia che gli dà il titolo è tra le mie canzoni preferite di questa prima parte di 2016. 



Conoscete ormai la smodata passione che provo nei confronti della band di Oxford, ma non so se riuscite ad immaginare quanto fossi in trepidante attesa nelle ultime settimane: prima l’annuncio dell’uscita del nuovo album a Giugno, poi tutti quegli indizi e messaggi criptici sui social fino alla scomparsa letterale del loro sito internet, era chiaro che fosse questione di pochi giorni se non ore e così è stato. È finalmente arrivato il primo singolo estratto dal nuovo album, ancora senza titolo. Sarà l’entusiasmo, ma Burn The Witch è diversa da tutto ciò che hanno fatto Thom e compagni fino ad ora e al contempo contiene un po’ di ogni loro album della loro così eterogenea discografia. Insomma, inconfondibilmente Radiohead.



Ho ascoltato Ultimate Care II, nuovo album del duo canadese Matmos, due volte. La prima non ricordo sinceramente perché l’ho fatto, non conoscevo loro e non avevo letto nulla su questo nuovo lavoro. Sarà stato il destino, forse? O la copertina strana e incomprensibile? Sta di fatto che l’ho ascoltato e mi è anche piaciuto, tanto che sono andato a cercarmi qualche informazione in più su questo talentuoso duo. La seconda volta è stato quando  ho scoperto che tutto, ma proprio tutto l’album è stato prodotto con i suoni provenienti da una...guardatevi il video.



Ognuno di noi ha un lato oscuro. Io per esempio ho una inaspettata (per chi mi sta intorno) attrazione verso il black metal. Avete presente quelle canzoni lunghe e cattive dove la gente urla? Ecco. I Cobalt sono tra quella gente e Slow Forever è pieno di quelle canzoni. Non parliamo di un capolavoro, ma se siete amanti del genere gli oltre sei minuti di Cold Braker, con la sua intro cupa e angosciosa vi piaceranno di certo.



Per finire, un gruppo novo novo. Gli Agar Agar sono francesi ma cantano inglese, sono in due e suonano un bel synth pop pieno di atmosfera. Il singolo Prittiest Virgin è uscito lo scorso 22 Aprile e sembra molto interessante, peccato che dovremo aspettare fino a Settembre prossimo per ascoltare il loro debutto discografico. Quindi annotateveli che poi ve li scordate altrimenti, mi raccomando.


Marsha Bronson

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