La differenza tra Bojack e le altre serie tv animate che
hanno ottenuto un discreto successo negli ultimi anni è che la creatura
ammiraglia di Netflix non si lascia condizionare dalla sua natura animata, non
degenera, non ne subisce i canoni, ma sfrutta appieno le potenzialità del mezzo
espressivo di cui dispone per arrivare con la creatività dove altre serie
dramedy adulte non possono neanche osare. Detto ciò, il piacere della visione,
la meraviglia che ancora - dopo cinque stagioni - Bojack Horseman riesce a
suscitare sta proprio nel modo in cui vengono rese le idee. La narrazione in sé
non spicca per originalità, basti pensare al finale più scontato possibile che
chiude la quinta fatica di Netflix, ma la messa in scena buca lo schermo e
alcune trovate geniali lasciano a bocca aperta per interi episodi.
Bojack Horseman 5 prosegue una discesa ripida nell’abisso
dell’animo umano, senza però trascurare un’attualità cinematografica e non che
ha coinvolto - se non travolto - il mondo di Hollywood. Il personaggio di Henry
Fondle, tra le righe dei simpatici siparietti che tende a creare suo malgrado, ha
proprio la funzione di trovare un punto di contatto tra la serie e lo scandalo
molestie scoppiato attorno alla figura di Harvey Weinstein e non solo. Lo
stesso vale per Vance Waggoner, che spinge addirittura Bojack tra le braccia
del movimento #metoo. In entrambi i casi la serie ironizza sapientemente sulla
reazione di un’opinione pubblica schizofrenica piuttosto che sui fatti reali
che stanno dietro fenomeni di questo tipo. L’immagine che ne risulta è sbilanciata
e tristemente realistica, quasi che gli eventi rappresentino una parte
trascurabile della faccenda.
Le trame che coinvolgono i personaggi principali vengono
portate avanti allargando lo spettro narrativo e arrivando quasi ad escludere
il protagonista dalla scena per interi episodi, per favorire la focalizzazione
su una particolare storia. Episodi come il secondo, che vede Diane fuggire
dalla sofferenza del divorzio, prende Bojack e ne fa strumento, mezzo di una
riflessione adulta e stilisticamente perfetta. Lo stesso si può dire per l’episodio
otto, dedicato alle ragazze di Mr. Peanutbutter. Lo sviluppo della serie verso
una narrazione policentrica rappresenta un salto di qualità notevole che allunga
di molto la longevità del prodotto e tende a riprodurre una costruzione più realistica
della vita e delle situazioni umane.
La quinta mantiene in parte anche i difetti delle
precedenti stagioni, a partire da una distribuzione altalenante degli eventi
topici che rende irrimediabilmente alcuni episodi troppo vuoti per essere considerati
insieme ad altri carichi di riflessioni, pathos e momenti memorabili. Alcuni personaggi
inoltre non riescono a sostenere il peso della grandezza della serie e, se
alcuni dei protagonisti - come Diane o Mr. Peanutbutter - si sono costruiti nel
tempo una profondità all’inizio inimmaginabile, altri come Todd sono finiti per
diventare semplici macchiette comiche, lontani dalla realtà di Hollywood e
troppo schiavi della comicità di Hollywoo.
Una menzione particolare va fatta per l’episodio sei
-Free Churro - che spacca a metà la stagione e in parte anche la storia della
serialità animata. È il corrispettivo per l’animazione di ciò che ha
rappresentato l’ottava parte del ritorno di Twin Peaks: un tentativo audace di
andare al di là del mezzo. Lynch ha cambiato ancora una volta la storia del
piccolo schermo. Bojack Horseman promette di fare lo stesso con un monologo amaro
e disulluso, reale, di venticinque minuti in cui il protagonista fa i conti con
se stesso e con il complesso rapporto con la madre, sullo sfondo di una
riflessione più ampia sul gioco dell’apparire. Quando il tono da stand-up
incontra una soggettività fin troppo umana perché possiamo ancora credere si
tratti di una serie animata con gatti, cani e cavalli antropomorfi.
La quinta stagione di Bojack Horseman non è ancora il
capolavoro definitivo ma si avvicina sempre più ad esserlo. Appare lampante come si tratti
di una serie che non arriverà a trascinarsi troppo presto per la varietà e la
genialità delle idee che ancora ne reggono la struttura. È un piacere per la mente
confrontarsi con queste forme creative, un piacere doloroso per il cuore.
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