Partiamo un po’ da lontano: come io vado in sala.
Vorrei dire di essere un critico d’essai, vorrei dire di
essere totalmente incorruttibile, vorrei essere una persona migliore anche, ma
al momento non lo sono affatto. Il mio problema è che mi faccio convincere
troppo facilmente: basta un trailer montato non dico bene, non dico
discretamente, va bene anche se è montato da cani, l’importante è che ci sia
una canzone in sottofondo che vada in crescendo e che esploda nel finale del
trailer, proprio quando appare il titolo del film.
NB: meglio una canzone anni ’60 ’70 ’80. Ma in verità in
verità vi dico: va bene anche la sigla dei Teletubbies, purché formenti.
NB: mia nonna - intorno all’anno 2000 - confondeva spesso
i Teletubbies con i Talebani. Tinkie Winkie che tira giù le Torri Gemelle con
un balletto dei suoi.
E quindi c’ho il fomento facile.
Ma torniamo al film di oggi: A star is born, esordio alla regia per il più amato dagli americani
Bradley Cooper, che mette un cappello mezzo country, imbraccia una chitarra che
palesemente non sa suonare e fa la parte del rocker/poeta maledetto. Al suo
fianco Lady Gaga in un ruolo ritagliato su misura per lei che riprende in parte
la sua storia personale.
A leggere la trama, sentire i pareri altrui, avevo
pensato sarei andato al cinema più per dovere di affermato blogger che per il
piacere della visione. Poi ho visto il trailer e mi si è aperto un mondo:
quando Lady Gaga entra sulla chitarra di Bradley Cooper non c’è n’è per
nessuno. E le immagini raccontano di due vite che si intrecciano con l’amore,
le difficoltà, la musica.
Poi ho visto il trailer e mi sono fomentato e poi sono
rimasto un po’ deluso. Perché non imparo mai?
A star is born
è un film molto americano, molto classico che cerca di rimodernare la storia
trita e ritrita dell’opera a cui si ispira, e ci riesce solo in parte. In generale
l’esperienza della visione in sala tocca dei picchi notevoli, ma è minata alla
base da una serie di problemi che presi singolarmente sembrano superabili, ma
che visti nel complesso rovinano in parte l’intera opera.
Ad una regia sì classica, ma adatta al contesto e
soprattutto ispirata nelle sequenze musicali, non corrisponde una sceneggiatura
all’altezza e una storia stantia si dipana attraverso situazioni poco
strutturate, personaggi non abbastanza approfonditi per poter sostenere un
certo pathos e dei dialoghi scadenti. Non arriva mai ad essere un’opera di
difficile comprensione, ma molti passaggi senza una specifica logica
allontanano spesso lo spettatore dall’immersione nello schermo, e in un film
che tenta - anche disperatamente - di coinvolgere emotivamente lo spettatore,
un muro di piccole problematicità che si frappone durante la visione diventa un
ostacolo insormontabile.
Come detto il film tenta in tutti i modi di parlare allo
stomaco e al cuore dello spettatore, chiedendo una lacrima in cambio. Non è
deprecabile una proposta del genere, si tratta di una scelta. Il problema
emerge quando questa ricerca supera il muro della lacrima e sfonda il portone
della stucchevolezza. A quel punto ciò che poteva apparire toccante diventa
fastidioso e tornare indietro è sempre più difficile. L’esasperazione non
sempre è reversibile.
Ad un contesto carico e poco fluido, data la rivedibile
sceneggiatura, si aggiunge una durata spropositata che appesantisce
ulteriormente la pellicola. Gli atti vengono diluiti in un arco temporale ampio
e poco funzionale alla trasmissione delle emozioni più basiche. Arrivare in
fondo senza staccare gli occhi dallo schermo è impresa impossibile. In alcuni
frangenti anche i chicchi di mais non scoppiati in fondo al secchiello
sembreranno più accattivanti.
Il problema della gestione dei tempi si lega direttamente
ad un montaggio non all’altezza, che fallisce nel creare una continuità tra i
vari momenti di vita di coppia che vengono mostrati. E quando un montaggio
imperfetto incontra dei dialoghi poco ispirati si finisce spesso col domandarsi
cosa stia realmente succedendo, perché i personaggi si comportino in un certo
modo, come sono finito in questa sala dopo appena un trailer?
Altra cosa - adesso trattata in maniera un po’ così,
blanda: come valuto i film.
Dopo anni di film divorati ed autorevole esperienza
millantata, mi sto avvicinando sempre più ad un approccio che cerca di prendere
il meglio da ogni pellicola. Anche quando questo meglio punta sempre a
nascondersi sotto quintali di inutilità.
E questo A star is
born un meglio ce l’ha eccome:le interpretazioni dei protagonisti sono
molto valide, la regia riesce a portarci davvero sul palco, riesce a
trasmettere il brivido dello spettacolo e le difficoltà di Jackson Maine, e poi
ci sono le canzoni. O meglio, i momenti musicali, quelli sì toccanti e
profondi. Lady Gaga e Bradley Cooper interagisco in perfetta armonia per intercettare
le emozioni che il resto della pellicola parlata non riesce neanche a sfiorare.
A star is born,
capolavoro moderno annunciato, purtroppo fallisce nel suo non essere affatto un
capolavoro, ma semplicemente un film discreto falcidiato da problemi basilari. Eppure
il marketing sfrenato con il quale il film è saltato agli onori della cronaca
saprà ricompensare la prima fatica di Bradley Cooper con qualche nomination ai
premi più famosi, e magari anche qualche statuetta. Dopotutto chi non ama
Bradley Cooper, chi non si scioglie di fronte alla potenza vocale di una Lady Gaga
versione brutto anatroccolo. Qualcuno sarà in grado di sorvolare sul cinema
claudicante di quest’opera per prenderne solo il marketing. È la legge del
mercato. È il 2018.
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