Sono ormai passate due settimane dall’uscita di “T2:
Trainspotting” ma il dibattito acceso sull’utilità della pellicola non accenna
a placarsi. Entrambi i partiti - coloro a cui il film è piaciuto, quelli che
l’hanno odiato ancor prima di entrare in sala - si muovono dall’assunto
dell’inutilità del ritorno di Rent e i suoi compagni di siringa. Io credo le
due opere siano da intendere profondamente legate, come i due volumi di Kill
Bill o i film dedicati a Davy Jones, e da questa certezza bisogna partire per
provare ad interpretare il messaggio di un film enorme come Trainspotting 2.
Le droghe non fanno lo stesso rumore di un tempo, oggi
sono altre le dipendenze che segnano la vita degli individui, sono i social, la
certosina creazione e cura dell’isola che non c’è, nella quale siamo tutti
abbronzati, tutti impegnati, tutti sorridenti. È però il Porno, l’altra vita
che abbiamo e nascondiamo, a determinare davvero la nostra direzione, ciò che
singolarmente andiamo perdendo, globalmente smarrito da tempo. Cerchiamo il
guadagno, lo status, senza curarci dell’altro. Il primo capitolo di
Trainspotting metteva in luce proprio la superiorità dell’occasione sui legami
nel momento del tradimento. Ma non abbiamo mai smesso di ricercare l’idillio di
una vita pacata, in compagnia dei nostri amici d’infanzia, nella vecchia e confortevole
Edimburgo. Alla luce di questo, l’eroina, protagonista del film del ’96, è
solamente un passaggio nello sviluppo della tematica centrale, ovvero la
dipendenza dai legami, contrapposta alla spietatezza di un mondo famelico.
Ci si rende immediatamente conto che in realtà lo scippo
che chiudeva le avventure dei ragazzi di un tempo ha segnato le vite dei
protagonisti più per il tradimento di un’amicizia fondamentale, che per l’effettiva
perdita economica. Un trauma che ha segnato la fine della gioventù bruciata e l’inizio
di un percorso di stenti alla ricerca del giardino dell’Eden passato. Una corsa
contro il tempo che il cronometro vincerà sempre. Vent’anni dopo i ragazzi di
Trainspotting sono uomini assenti, personaggi scissi che non riescono a
partecipare alla farsa dell’attualità, ma allo stesso tempo hanno perso il
senso della loro diversità. E ciò che resta è una spietata resa dei conti per
attribuire le colpe di un crollo verticale senza precedenti.
T2 è un’opera che riesce a riaprire le porte di un cult
senza tempo, dando un senso diverso al suo predecessore e ponendosi l’obiettivo
di realizzare un progetto incompiuto. Crea una plausibile necessità e la
soddisfa, nella cornice di una realizzazione tecnica fenomenale. Nell’ottica
della ricostruzione di un passato più antico del primo film, è logico
aspettarsi da questa pellicola un occhio particolare per le immagini delle
origini dei protagonisti, che non solo riescono brillantemente a rigenerare un
film appartenente ad un’altra generazione, ma creano pure una nuova sinergia
tra i personaggi. Questa costruzione, segnata da intenti precisi e legittimi,
si serve senza misteri di un profondo e radicato fan service, che saprà colpire
al cuore i più affezionati.
Alcune sequenze, come i ricordi di Spud o le scene conclusive,
sulle note della meravigliosa Silk, riescono a rendere appieno quel senso di
nostalgia per una vita che non è andata come doveva andare, e ha lasciato
immancabilmente un buco nel torace dello spettatore e dei quattro protagonisti.
Riuscire ad empatizzare è necessario per dare corda ad una scrittura poco
innovativa. Presa singolarmente, la sceneggiatura di questo secondo capitolo
potrebbe risultare banale, scontata e a tratti forzata, ma il lavoro emotivo
che regge l’apparato non può mancare nell’approccio a questo gradito ritorno.
Una delle critiche più frequentemente mosse a
Trainspotting 2 è che il seguito non sarà mai all’altezza del primo. Il secondo
capitolo non raggiungerà mai l’opera prima per l’assenza di un impatto sociale
così estremizzato, per la mancanza di situazioni realmente iconiche, per la
collocazione che ha avuto in questo mercato cinematografico e per il culto che
invece era riuscito a generare il suo predecessore. Ma non per questo deve
essere messo ideologicamente in secondo piano. La dipendenza del primo era
tangibile, manifestazione di un disagio generazionale che scatenava una
reazione. La dipendenza del secondo capitolo è invece subdola e si nasconde
dietro l’apparente sensazione di benessere e appagamento che dà l’essere
succubi di una società malsana, malata. Un mondo che uccide l’ideologia e vive
del ricordo di un passato irraggiungibile avvelena per sempre la ricerca della
felicità. L’eroina era un altro modo per morire. Postare foto con le orecchie
da cane è un altro modo per morire.
Scegliere la vita oggi è quanto di più lontano possibile
dalla felicità.
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