La risposta alla violenza, in un universo governato
dall’ordine della dinamica e dal caos, è ancora la violenza. Assume altra
forma, si allontana e poi ritorna.
“Hell or high water” è un piccolo, marginale spaccato
della vita americana che vede nella violenza la molla e la causa di ogni
azione. Marcus e Toby, due fratelli molto diversi, ma accomunati dalla medesima
necessità di rivalsa, si improvvisano delinquenti per riuscire a sopravvivere
in un Texas di fuoco e pignoramenti. L’inizio in medias res ci catapulta con
forza all’interno di un quadro arido, già profondamente segnato da un passato
violento che chiede un risarcimento. È forse la morte della madre a spingere i
due a reagire nella malavita, o forse la violenta uccisione del padre, avvenuta
anni prima? Non siamo in grado di stabilirlo, certo è che il mondo in cui i
protagonisti della finzione dell’opera esordiscono è già permeato di un
profondo velo di violenza reazionaria. Ogni personaggio che appare sulla scena,
in perfetto stile texano, si mostra propenso, voglioso, desideroso di esprimere
il suo essere nell’annullamento psicologico e soprattutto fisico di chi,
vittima di un ideale processo sommario, merita la gogna. E tutto ciò appare
perfettamente in linea con il pensiero delle autorità, che nel dialogo devono
per legge mostrarsi contrariate, ma che apprezzano con un sorriso lo spirito
del taglione della loro popolazione.
Il finale dell’opera poi è esplicativo di un circolo
inarrestabile, che non decelera di fronte alla morte e prosegue la sua marcia
virulenta fino allo sterminio di massa. La chiusura degli archi narrativi
fondanti non conclude una ricerca del colpevole, alle spalle
dell’organizzazione statale. È la giustizia che non vede processo, che non ha
immediatamente davanti agli occhi le cause di un gesto compiuto di sfuggita, per
caso. I giudici sono anche carnefici e questo ha avvelenato da sempre un
paesaggio incolto, deturpato, sepolto sotto la sabbia dell’odio viscerale.
Non si tratta del semplice “Stato di natura”, perché
questo Texas lacerato tra giusti e defunti ha un’autorità vigente salda, quella
delle armi e della guerra, quella della cieca superiorità del modello corrente
rispetto ad un’apertura che è ormai un miraggio nella sterpaglia. Esiste un
gioco condiviso in cui vince chi non lascia spazio e rincara la dose, chi
diffida, chi tradisce per il bene superiore, chi uccide, anche metaforicamente, anche non metaforicamente.
Ciò che il film riproduce nel piccolo è un fenomeno tremendamente attuale e
diffuso che minaccia di riportare il globo sull’orlo del Novecento, quel
passato da cui non abbiamo imparato e di cui questa violenza mai sopita
continua a cibarsi.
La rivoluzione sociale a cui siamo chiamati passa dalla
capacità di fare vuoto, di non rispondere nella nostra quotidianità all’offesa
con altra offesa, alla violenza con altra violenza, per arginare questo circolo
vizioso che da sempre corrode l’essenza umana. La parabola discendente di Marcus e Toby colpisce per la crudeltà con cui un contesto permeato di sete di vendetta avvinghia e punisce deliberatamente chi è mosso dalle circostanze a commettere un errore, che genera altri errori, che termina con la deflagrazione dell'intera società. Quando la vendetta si confonde con la giustizia, questa violenza è la fine dell'essere umano.
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