Due anni fa andai al concerto di Natale di Rock TV a
Milano perché gratuito e potei finalmente osservare da vicino il fenomeno “Lo
Stato Sociale”. Un tripudio di energia, nonsense e voglia irrefrenabile di
essere qualcosa di diverso. Cosa è rimasto oggi dei tratti caratteristici della
band di Bolo?
Dopo una pausa di riflessione, condita da un libro e
qualche spettacolo teatrale, il gruppo torna ad incidere un album in studio. “Amore,
lavoro e altri miti da sfatare” arriva quasi tre anni dopo “L’Italia peggiore”,
che era riuscito ad ampliare il pubblico di Lodo e compagni, ma allo
stesso tempo aveva rappresentato un passo indietro nelle intenzioni della band,
che aveva giustificato la mancanza di un’ambizione artistica palese dietro la
scusa delle “canzonette”. Il secondo album aveva trasformato il gruppo in un
vero e proprio fenomeno di massa; orde di giovanissimi spinti a canticchiare,
scrivere sui muri i loro testi talvolta insensati, talvolta così superficiali
da sembrare profondissimi. Ero tra i fan della prima ora, non della primissima,
e riconobbi un calo nel secondo lavoro, pur apprezzando molto i toni, lo stile
e il senso dell’opera. Era una piccola produzione che non si prendeva sul
serio, ma riusciva a coinvolgere, a restare impressa nelle menti degli
ascoltatori.
Al suddetto concerto di Natale, durante l’esibizione de
Lo Stato Sociale, si scatenò sotto il palco un delirio memorabile. Persi i miei
amici nella calca, rimediai qualche gomitata gratuita e mi bagnai del sudore di
altri. ma il pubblico intero cantava i loro testi a memoria. Era segno che
qualcosa stava cambiando. In meglio per i ragazzi, in peggio probabilmente per
la musica e i puristi della nicchia. Era una svolta, quantomeno riusciva a
modificare il registro del primo album quel tanto da giustificare un nuovo
tour, una nuova attenzione mediatica e popolare.
Pochi giorni fa ha visto la luce il loro terzo lavoro in
studio, e stavolta non è andata esattamente come ci si poteva auspicare. “Amore,
lavoro e altri miti da sfatare” perde decisamente la bussola, perde l’anima
irriverente, il tono sincero e genuino, la musicalità elettronica fresca e
accattivante. Perde Lo Stato Sociale che aveva saputo conquistare un posto
nella mia libreria musicale per seguire in toto la svolta iniziata con il
precedente album e votarsi definitivamente all’approvazione del grandissimo
pubblico. Manca completamente la volontà di stupire l’ascoltatore, soppiantata
dalla necessità del consolidamento di uno stile sicuro, ma la musica è ben altro:
il passo verso l’innovazione è breve, ma decisivo. Lo Stato Sociale non ha saputo
rinnovare un format stantio, ormai obsoleto in un panorama indie italiano frenetico,
segnato dalle esperienze musicalmente superiori di Iosonouncane, Cosmo e Motta.
Anche i testi perdono il loro mordente, eccedendo nelle due dialettiche discorsive
che il gruppo ha intrapreso da tempo con un’ipotetica figura femminile e con
una fetta stanca della gioventù affumicata italiana, segnata dalla crisi dei trent'anni, o dalla fine dei vent'anni.
Niente di nuovo sotto il sole, pochi synth ripetuti in
differenti pezzi, pochi guizzi e un disinteresse crescente che lascia una voglia
impalpabile di continuare a sperare in un gruppo probabilmente sopravvalutato
nel suo breve percorso artistico. Possiamo ricollegare il successo del primo
album - e parzialmente del secondo - ad una mancanza discografica, all’interno
della quale Lodo and Friends era stati capaci di inserire perfettamente le loro
qualità non eccelse, rendendo probabilmente al si sopra delle loro reali
possibilità. Un colpo a salve è un lusso concedibile a chiunque, a lasciare
interdetti è piuttosto una parabola discendente che ha coinvolto il rapporto
stesso del gruppo con i suoi fan e conseguentemente il clima infame che si è
creato attorno ai ragazzi in questo ultimo periodo. Lo stesso Lodo, frontman
della band, aveva ironicamente chiesto sui social che gli fosse spiegata la
motivazione della cattiveria dei detrattori. Prendendo le distanze dai
frustrati di tastiera inabili all’argomentazione, posso ritrovare in una
mancanza di meriti e nell’incongruente costanza di atteggiamento il connubio
giusto di cause scatenanti per una reazione che sintetizza un malessere
generale verso un’esperienza graffiante, dissacrante e malamente lasciata per
strada.
L’autoironia ha un limite, quando si raggiungono
determinati traguardi, mostrando interessanti doti differenti dalla massa, è il
momento di compiere una scelta: alzare l’asticella o ammettersi Rovazzi.
Se Lo Stato Sociale ha scelto il suo nome giocando
ironicamente sulle mancanze della nostra società imborghesita, il titolo di
quest’album potrebbe essere tranquillamente “Musica, innovazione e altre
capacità da RItrovare”.
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