In principio avevo in mente di stilare un elenco dei miei
album preferiti usciti nel corso di questi sei
floridi mesi – musicalmente parlando – del 2016. L’idea non mi garbava
poi molto è ho quindi optato per raggruppare alcuni album interessanti o sottovalutati
che per qualche ragione fossero affini.
Da cosa cominciare? Brancolavo nel buio, fino a che la
geopolitica è giunta in mio soccorso. Per chi non se ne fosse accorto infatti
il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord© è uscito dall’UE.
A pensarci bene poteva pure rimanere dov’era, la geopolitica. La seconda
ricerca più digitata sulle tastiere inglesi nelle ore successive al drammatico
divorzio è stata “Che cos’è l’UE?”, a dimostrazione che no, nemmeno gli
Inglesi, quelli precisi del tè preciso alle 17:00 precise, leggono le
condizioni d’uso.
Gli amichetti isolani potrebbero però non essere gli
unici ad ignorare cosa ci sia esattamente sull’altra sponda della Manica,
quindi per questo nuovo giro di giostra vi propongo cinque gruppi bretoni che
forse conoscete, forse no. In ogni caso l’UE non si disgregherà se non li
ascoltate. Voi però fatelo, eh.
YAK
Una delle nuove band più promettenti e interessanti al
debutto quest’anno è proprio inglese e per di più dal nord dell’Inghilterra, il
nocciolo del “leave” insomma. Nonostante questi tre ragazzi siano nati e
cresciuti nel cuore operaio dell’inghilterra, culla dei Beatles, The Who, the
Kinks e chi più ne ha più ne metta, nel loro sound c’è ben poco, per non dire
nulla, di quel che resta della british invasion. Il loro album di debutto Alas Salvation, pubblicato lo scorso
maggio suona invece come una versione molto più sporca, cattiva e psichedelica di
alcuni gruppi indie della costa est. Hungry Hearts
fu il primissimo singolo rilasciato, addirittura nel febbraio 2015.
WILD BEASTS
Un altro gruppo inglese che della tradizione musicale
inglese conserva ben poco a cominciare dal nome, ispirato dall’espressionismo
francese. D’altronde la tendenza della musica inglese ad internazionalizzarsi
non è certo inedita, a dispetto di ogni anacronistico nazionalismo.
Come per quei pochi, buoni gruppi che riescono a forgiare
un loro stile originale, le musica dei Wild Beasts non è immediata e i loro
album, anche se molto orecchiabili, hanno bisogno di più ascolti per
appassionare davvero. Ma alla fine ci riescono sempre. In attesa del prossimo
album Boy King, in uscita ad agosto,
vi propongo un pezzo dall’ultimo loro lavoro in studio, Present Tense, risale al 2014. Ascoltate Mecca e dite se non vi viene voglia di ascoltarlo tutto.
COSMO SHELDRAKE
Musicista semisconosciuto, anche lui inglese ovviamente.
In realtà nella madre patria ci passa ben poco tempo tra corsi di musica e
viaggi in giro per il mondo a catturare suoni. Sì, perché nonostante sappia
suonare una moltitudine di strumenti, Cosmo fa un larghissimo uso del sampling,
campionando suoni che raccoglie durante i suoi viaggi – in The Fly una mosca ad esempio – e campionando se
stesso durante i live, come ha anche mostrato su Ted.
Per ora ha pubblicato due EP: The Moss,
scaricabile gratuitamente dal suo sito e Pelicans
We, nel 2015.
FUTURE OF THE LEFT
Non è solo la questione su cui si sta probabilmente
interrogando Corbyn negli ultimi giorni, ma è anche il nome di un gruppo punk
gallese. Non eccelso, né troppo originale, ma ingiustamente poco considerato. Che
poi diciamo le cose come stanno, se non fosse per Gareth Bale e John Cale
probabilmente ci scorderemmo che il Galles esiste. Ad ogni modo i Future of The
Left hanno appena pubblicato un nuovo album, il loro quinto lavoro, dal titolo
che è un programma: The Peace and Truce
of Future of The Left. Il disco non è male e se vi piacciono gruppi punk
storici come i Minutemen o i Gang of Four apprezzerete canzoni come In a Former Life.
URUSEI YATSURA
La Scozia ha sempre avuto un panorama musicale variopinto
e per niente omogeneo. Franz Ferdinand, Belle and Sebastian, Primal Scream,
Mogwai, Jesus and Mary Chain eccetera. Una tavolozza di generi e influenze ricchissima
se si pensa che tutto lo stato ha la metà degli abitanti di Londra. Ecco, su
questa tavolozza gli Urusei Yatsura rappresentano quel colore strano ma
affascinante che si è formato quasi per caso mescolandone altri che non
c’entravano niente tra loro. Il nome è giapponese e significa più o meno “gente
che fa casino”, loro sono appunto scozzesi e la musica che facevano non
c’entrava assolutamente nulla né con il Giappone, né con le Highlands.
Debuttarono nel 1996 con We Are Urusei
Yatsura – la fantasia l’avevano finita tutta per scegliere il nome – album
che, con pezzi come First Day on A New Planet,
si può dire che abbia definito l’indie rock contemporaneo.
Marsha Bronson
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