Per capire la mia
opinione su questo secondo, controverso episodio della miniserie di Guzzanti, “Dov’è
Mario?”, credo sia necessario fare un passo indietro per partire dalle
aspettative. Spesso sono infatti le aspettative a determinare l’esito di un procedimento
di giudizio più complesso, ma ciò mistifica l’avvicinamento all’evento e lo
innalza al di sopra dell’evento stesso. Quindi, se da un lato è necessario
formarsi delle aspettative per poter essere consci della validità di ciò che si
è in procinto di analizzare in relazione alla nostra, propria forma mentis,
dall’altra bisogna contenere le aspettative ed evitare che siano condizioni di
giudizio a priori, ossia che inficino il nostro sguardo portandoci a distogliere
completamente l’attenzione dal vero oggetto posto di fronte a noi. Che sembra
che abbia detto chissà quale verità filosofica perché ho usato un paio di
paroloni, ma, detto in parole povere, sono consapevole delle mie stesse
aspettative e il mio giudizio verrà comunque condizionato da esse, ma cerco in
ogni caso di limitarne l’influenza negativa che possono esercitare. Tutto qua. Era
facile. Mannaggia a me e a questi scatti di magniloquenza senza pari. Ma cominciamo.
Ci eravamo lasciati con un Mario sdoppiato nello spirito
che, come Dr. Jekyll e Mr. Hide, vive due vite separate, scandite dal giorno e
dalla notte. Questo secondo episodio si apre con un Capoccetti in grande
spolvero, coadiuvato da una regia discretamente dinamica e interessante,
soprattutto se contestualizzata all’apparente leggerezza dell’opera. Ma il
consueto show comico non si conclude con la consueta scenetta poco comica della
Rumena che viene a reclamare il Fabrizio con zucchetto, e da qui si apre la
reale trama dell’episodio, che potremmo rinominare “Alla ricerca della Rumena
perduta”; ma che si traduce come un pretesto per mandare avanti la trama
principale e spostare il protagonista da un contesto controllato dalla presenza
dell’infermiera ad uno di totale libertà/abbandono. Questa situazione porta all’ingresso
in scena di un’ottima, divertente ed autoironica Virginia Raffaele, che, dopo
il successo di Sanremo (più per demeriti altrui che per meriti propri), comincia
finalmente a superare la sua dimensione di imitatrice occasionale per far
valere le proprie capacità di caratterista, seppur sul piccolo schermo. Una presenza
comunque gradita. Se però Raffaele porta un momento di novità all’interno del cast
di noti, la mancanza di tutti quei camei che avevano contraddistinto la prima e
morbosa parte del precedente episodio si fa sentire eccome, sfociando in una
serie di momenti morti, sia dal punto della trama che da quello, purtroppo,
della comicità. In questo secondo episodio infatti si ride, ma si ride molto
meno rispetto al primo, con Guzzanti che sembra avere meno mordente rispetto ai
precedenti quaranta minuti. In questo secondo episodio è emerso più il Guzzanti
cabarettista rispetto a quello innovativo. C’è stato un passo indietro sotto
questo punto di vista e, essendo la serie principalmente basata sulla capacità
dell’autore romano di saper intrattenere con il riso anche nei momenti che
peccando dal punto di vista della scrittura, il passo indietro si è percepito anche
a livello di sviluppo della trama. Sono emersi dei limiti notevoli che
potrebbero ricollocare la serie da interessante esperimento comico con un fondo
di giallo/thriller, al solito prodotto a metà che a noi Italiani viene sempre
benissimo.
Se le scene in cui viene portata avanti la storia
principale nel presente hanno subito un rallentamento sfociato in una
costruzione frammentata e poco accattivante, lo stesso non si può dire della
narrazione ripetuta del momento successivo all’incidente. Narrazione inconscia
che vede e rivede Mario confrontarsi con Capoccetti. Sembra che in questa
sequenza ricorrente ci sia un non detto situato appena sotto il livello del
dicibile, una realtà che forse non si rivelerà mai e sopravvivrà al trash forzato
e smarmellato dell’opera prima di Maccio Capatonda.
Nonostante dei limiti notevoli, intravisti e superati nel
prima episodio, ma ripresentatisi in questo secondo, il prosieguo dell’avventura
di Mario Bambea ha saputo comunque regalare un paio di momenti che rimarranno
nella storia dell’emittente Sky e che credo un giorno passeranno su blob come i
classici pezzi satirici di Guzzanti. Sto parlando del dialogo con il
proprietario dell’Odeon - fantastica critica di costume che punta il dito
contro la televisione e contemporaneamente contro gli spettatori - e della già
citata scena con la escort Virginia Raffaele. Due momenti esilaranti e
intelligente che fanno ancora credere che Corrado Guzzanti sia il genio
intravisto nel primo episodio. Due momenti che però non salvano la produzione
da una puntata decisamente sottotono rispetto agli standard, rispetto alle
aspettative.
E ci risiamo: le aspettative. Questo commento sarebbe
stato lo stesso senza le aspettative generate dall’episodio precedente della
serie? Non credo. Ma credo anche che i pareri espressi in questo breve, ma
intenso articolo possano essere condivisi in senso assoluto, a prescindere
dalle sensazioni personali fuorvianti e al di là dei condizionamenti del caso. Produrre
un commento personale assoluto, al netto delle speculazioni anteriori e
posteriori, è pura utopia. Ci rimane quindi un episodio claudicante, una storia
impoverita e una comicità poco graffiante. Due episodi per invertire in trend. Forza
Guzzanti.
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