Questo minuto blog è opinione, attualità, filosofia
spicciola, occasionalmente cultura. La scorsa primavera-estate è stata contraddistinta
da una serie di commenti alle serie TV sinceramente molto apprezzati. Numeri interessanti,
per quanto modesti. Qualcosa di concluso, qualcosa di inconcludente e qualche
picco tra Wayward Pines, True Detective e, il vero marchio di fabbrica di
InsideMAD in versione seriale, The Knick. Poi stop, più nulla. Era quindi il
caso di riprendere con le buone vecchie abitudini, ma da dove (ri)cominciare?
Game of Thrones? Troppo lunga e inflazionata. Serie Netflix? Interessanti, ma
con la pecca di non essere diluite nel tempo. E poi ci si distrae e risbuca il
carissimo Guzzanti.
Quando la vecchia satira nostrana incontra le finanze di
Murdock. La prima caratteristica che salta all’occhio è la cura con cui è stata
realizzata, confezionata e distribuita questa miniserie di quattro puntate. Quando si tratta di qualità, Sky difficilmente delude le aspettative, e forse a
volte non è tanto questione di idee, ma di realizzazione e spazio necessario a
rendere possibile progetti ambiziosi. Corrado Guzzanti, one-man show degli anni
che furono, torna in televisione con una serie fresca, ma non troppo, con quel gusto un po' era berlusconiana che fa sempre da contorno. Mario Bambea è uno stimato filosofo e
intellettuale italiano che, in seguito ad un accidentale incidente stradale, si
trova costretto in una situazione di sdoppiamento della personalità: di giorno
si rilassa nelle sue scritture impegnate e di notte spopola nei locali
malfamati della Roma peggiore come comico di bassa lega. Eppure il successo di
pubblico non tarda ad arrivare.
A differenza delle precedenti collaborazioni tra Sky e
Guzzanti, in cui ci si trovava spesso dinanzi ad un collage di sketch comici
legati da una sottile linea rossa narrativa, nel caso di “Dov’è Mario?”
la trama non è stata lasciata al caso, e, come dice la stessa descrizione del
programma, l’intento dei creatori è stato quello di dare vita ad un thriller-giallo comico, ad una sorta di storia portata avanti dalla vis comica del satiro
romano.
I primi minuti introduttivi della serie sembrano
preparare il terreno per il resto dello spettacolo. Ci imbattiamo così
inaspettatamente in camei e citazioni al reale mondo intellettuale italiano che
fanno sorridere e creano un perfetto scivolamento dello spettatore all’interno
della finzione. Ma le risate, quelle vere, quelle che ci si aspetta sempre da
un qualunque programma di Guzzanti, arrivano solamente con la comparsa dei
primi sintomi di questa schizofrenia particolare. I riferimenti si sprecano; personalmente,
la doppia personalità del protagonista mi ha portato alla mente da una parte il
terrificante - capitemi, ero bimbo - Stevenson, e dall’altra il recentissimo
Maccio, con il suo Italiano Medio. Lo schema di fondo e lo stesso: racchiudere
due stereotipi ben definiti nello stesso sornione personaggio per colpire tutti
in poche, semplici mosse. Guzzanti però, a mio parere, risulta più diretto, più
delineato, più sicuro, più vero, rispetto all’abbozzata e confusionaria opera
di Padre Maronno.
Si parlava delle risate, ma quanto si ride? Molto, anche
quando non si dovrebbe, probabilmente. Dal momento in cui Mario si “sdoppia”
comincia un susseguirsi di situazioni esilaranti, ma al contempo intelligenti,
interessanti e mai banali. Poche scurrilità, le giuste misure per rientrare
nella cornice adatta. Guzzanti prende in giro tutti, colpisce nel segno, si
diverte e fa divertire. Una scena emblematica della comicità e della capacità
artistica del comico è indubbiamente quella nella radio dell’amico di vecchia
data. Mario, ristabilitosi parzialmente dal trauma, viene invitato in una
trasmissione radiofonica tenuta da pochi intellettuali per pochissimi intellettualissimi.
In un sol colpo Guzzanti riesce a mescolare nel calderone del divertimento
satirico i finti intellettuali, i sempliciotti che tentano di sembrare
intellettuali, il sistema radiofonico, la nuova cultura giovane e… i grillini e
i loro complotti. Così, d’emblèe.
Alla fine della puntata resta poco, o forse molto,
dipende dai punti di vista. Resta una trama interessante ma probabilmente per
certi versi inespressa, ma resta anche la straordinaria dote dell’autore di far
ridere puntando il dito senza mostrare la mano. La conferma di una potenzialità
immensa, che in un altro continente sarebbe stata osannata, e invece qui viene
spesso relegata ad un ruolo secondario. Quella di Guzzanti sembra a prima vista una goliardata
divertita, ma ad un occhio attento si rivela invece essere una grande
dimostrazione di satira teatrale riarrangiata per il piccolo schermo. Mario è
tutti e nessuno, un po’ come Pirandello, prende di mira la nostra società, l’ipocrisia,
usi e costumi di una civiltà che deve sfogare l’arretratezza dietro una
facciata standardizzata, e lo fa la notte, tra un medicinale per il meteorismo
e gli insulti razziali. Non si risparmia nessuno, senza peli sulla lingua e
senza paura di calpestare i piedi a qualcuno. Un po’ vecchia scuola, come
qualche anno fa. Non ci troviamo di fronte ad un capolavoro, né ad una serie TV
d’antologia, ma il divertimento è assicurato e questa rassegna delle peggiori
categorie dell’Italia moderna potrebbe riservarci qualche sorpresa nelle
prossime settimane.
Ma Saverio Raimondo? Me lo ricordavo più bravino come stand up comedian.
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