Vi ricordate i Viet Cong? No, non quei Viet Cong, quegli
altri. Quelli con le chitarre al posto dei Kalashnikov. Ebbene, non esistono
più o meglio, non esistono più in quella veste. Come forse vi dissi tempo
addietro avevano deciso di cambiare nome dopo essersi visti negare alcuni show
negli U.S.A. a causa del loro nome che, cito, “offende la comunità vietnamita”.
Dalla scorsa settimana i Viet Cong sono quindi i Preoccupations che, senza
tante cerimonie, suona proprio da schifo come nome per una band. In un altro
momento una storia del genere sarebbe andata ad aggiungersi a quell’elenco di
stranezze, contraddizioni e assurdità degli altri popoli, quelle che si
snocciolano nelle conversazioni per strappare un sorriso, ma in queste
settimane, forse, quel sorriso è velato da una certa inquietudine, almeno per
quanto mi riguarda. Donald Trump potrebbe diventare il prossimo presidente
degli Stati Uniti d’America e Trump ce la mette tutta per rappresentare quella
parte di ognuno di noi che gode nell’odiare, mentre i Viet Cong devono cambiare
nome per suonare nei locali.
Tutto d’un tratto Preoccupations non suona poi così male.
In questi giorni sono in vena di elettronica sperimentale
e le nuove uscite sembrano assecondarmi. Andy Stott è un produttore di
Manchester e ha pubblicato una manciata di perle negli ultimi dieci anni, su
per giù. Io l’ho scoperto relativamente tardi, nel 2014 con Faith in Strangers,
e dopo un certo numero di ascolti fisiologici per riuscire a metabolizzare il
suo sound, ho iniziato a seguirlo con attenzione. Too Many Voices è il suo
quinto album, come ho detto non è facile, soprattutto al primo ascolto, ma la
traccia che gli dà il titolo è tra le mie canzoni preferite di questa prima
parte di 2016.
Conoscete ormai la smodata passione che provo nei
confronti della band di Oxford, ma non so se riuscite ad immaginare quanto
fossi in trepidante attesa nelle ultime settimane: prima l’annuncio dell’uscita
del nuovo album a Giugno, poi tutti quegli indizi e messaggi criptici sui
social fino alla scomparsa letterale del loro sito internet, era chiaro che
fosse questione di pochi giorni se non ore e così è stato. È finalmente
arrivato il primo singolo estratto dal nuovo album, ancora senza titolo. Sarà
l’entusiasmo, ma Burn The Witch è diversa da tutto ciò che hanno fatto Thom e
compagni fino ad ora e al contempo contiene un po’ di ogni loro album della
loro così eterogenea discografia. Insomma, inconfondibilmente Radiohead.
Ho ascoltato Ultimate Care II, nuovo album del duo
canadese Matmos, due volte. La prima non ricordo sinceramente perché l’ho
fatto, non conoscevo loro e non avevo letto nulla su questo nuovo lavoro. Sarà
stato il destino, forse? O la copertina strana e incomprensibile? Sta di fatto
che l’ho ascoltato e mi è anche piaciuto, tanto che sono andato a cercarmi
qualche informazione in più su questo talentuoso duo. La seconda volta è stato
quando ho scoperto che tutto, ma proprio
tutto l’album è stato prodotto con i suoni provenienti da una...guardatevi il
video.
Ognuno di noi ha un lato oscuro. Io per esempio ho una
inaspettata (per chi mi sta intorno) attrazione verso il black metal. Avete
presente quelle canzoni lunghe e cattive dove la gente urla? Ecco. I Cobalt sono
tra quella gente e Slow Forever è pieno di quelle canzoni. Non parliamo di un
capolavoro, ma se siete amanti del genere gli oltre sei minuti di Cold Braker,
con la sua intro cupa e angosciosa vi piaceranno di certo.
Per finire, un gruppo novo novo. Gli Agar Agar sono
francesi ma cantano inglese, sono in due e suonano un bel synth pop pieno di
atmosfera. Il singolo Prittiest Virgin è uscito lo scorso 22 Aprile e sembra
molto interessante, peccato che dovremo aspettare fino a Settembre prossimo per
ascoltare il loro debutto discografico. Quindi annotateveli che poi ve li
scordate altrimenti, mi raccomando.
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