Fino alla scorsa settimana non possedevo il DVD dell’Esorcista.
Mancanza mia, mancanza enorme, lo ammetto. Ma poi, in occasione dei #cinemadays, mentre aspettavo che chiamassero i possessori del biglietto, manco fosse
l’imbarco dell’Oceanic 815, mi sono recato in un negozio di elettronica all’interno
dello stesso centro commerciale nel quale è situato anche quel cinema che fa
ascoltare a tradimento le top hits di Alessandra Amoroso (per non dimenticare)
e ho trovato la prima stagione di Royal Pains. E che c’entra con l’Esorcista? Ora
ci arriviamo. La suddetta prima stagione era in super offerta alla ridicola
cifra di due euro, come lasciarla sullo scaffale? Effettivamente avrei potuto
lasciarla ivi, considerando il fatto di non averla ancora estratta dal
cellophan, ma è proprio grazie a questo acquisto che ho potuto recuperare il
DVD dell’Esorcista. Come? Ora ci arriviamo. Mentre mi recavo alla cassa per
pagare con una monetina in mano, mi sono lasciato prendere dalla vergogna di
andare alla cassa con una monetina in mano e mi sono convinto della necessità
di accorpare Royal Pains ad una spesa più sostanziosa. Così, girando e
rigirando sostanzialmente gli stessi titoli ho trovato Creepshow (di cui
parlerò poi). Occhei, questa storia si sta dilungando troppo; accorciamola: vicino a
Creepshow, che effettivamente cercavo per necessità, ho trovato anche l’Esorcista,
in versione integrale. E quindi, avendolo visto solo un paio di volte in
prestito, mi sono deciso a comprarlo ad occhi chiusi. E poi sono inciampato. E poi
ho riaperto gli occhi.
Il dettaglio che mi ha colpito di più della copertina è
stata la tagline in basso: “Il miglior film horror di tutti i tempi”. E per
avere conferma di questa frase magniloquente, ho rivisto il film. Confermo la
mia idea iniziale: mi dissocio. Personalmente non riesco a considerare l’esorcista
il miglior film horror di tutti i tempi perché fondamentalmente non l’ho mai
considerato un horror, e l’ultima visione non ha cambiato la mia posizione. A
mio parere la grandezza di un capolavoro come l’Esorcista sta proprio nell’uso
che fa dell’orrore, il quale viene relegato a sfondo di una vicenda, mezzo
attraverso cui raccontare un’esperienza di fede. Alcuni elementi ci lasciano
intendere la volontà dell’autore e del regista di focalizzare l’attenzione
sulla narrazione della vicenda spirituale e personale del prete- psichiatra
Carras, muovendo il genere stesso del film verso il thriller psicologico.
Innanzi
tutto la caratterizzazione dei personaggi: quelle che sembrerebbero essere le
protagonisti della vicenda, ovvero madre e figlia MacNeil, successivamente posseduta
dal diavolo in persona, mostrano una caratterizzazione a tratti grezza e
superficiale che non indaga quanto presumibilmente dovrebbe la questione della
spiritualità della famiglia in relazione alla sciagura che le colpisce. Ciò che
maggiormente emerge è il rapporto familiare, funzionale alla giustificazione di
alcune reazione ben precise. A questo duo di personaggi, per certi versi bidimensionali, si contrappone la coppia di esorcisti, che ruba la scena nell’ultimo atto dell’opera.
Carras e Merrin si ergono in ultima battuta come veri protagonisti dell’opera,
vittime di una prova, fautori del cambiamento e soggetti di una maturazione che
arriva a compimento solo nel tragico finale. La questione del ritrovamento
della statuina-feticcio del demone sarebbe molto interessante da analizzare e l’enigmatica
figura del prete-archeologo Merrin richiederebbe una profondo approfondimento,
ma vorrei concentrarmi maggiormente sulla figura del greco Carras, quella a cui
lo stesso regista Friedkin ha dedicato maggiore spazio.
Carras ci viene presentato fin da subito come un uomo
sofferente, schiacciato dalla sua occupazione avida di soddisfazioni,
incastrato in una complessa e drammatica situazione familiare ed in preda ad
una profonda crisi spirituale. Egli non crede più alla fede attorno alla quale,
volente o nolente, ha costruito la sua stessa scarna vita. Attraverso il dubbio
di fede egli mette in discussione anche e soprattutto il suo percorso di vita.
Comincia così ad entrare in un denso vortice di tristezza e delusione che
sembra non avere fine. La morte della madre sembra essere il colpo di grazia ad
una vita vuota che appare ormai privata dei significati religiosi che un tempo
poteva vantare dinanzi ad una comunità, anch'essa ormai troppo distante dal prete greco.
La morte della madre non ci viene rappresentata
direttamente, non veniamo coinvolti in prima persona in questa complessa
discesa negli inferi dell’umana natura, ma rimaniamo spettatori in un contesto
disagiato che sospira sofferenza. In seguito alla perdita, Carras si isola
maggiormente dalla comunità a cui appartiene e comincia a svestire i panni dell’uomo
vuoto di fede. Una simbologia emblematica legata a questo cambiamento l’avevamo
già ottenuta in occasione della visita in ospedale alla madre, quando una delle
pazienti strappa il collarino all’uomo di chiesa, portandosi via anche la
Chiesa che dimorava in lui. A questo punto Carras sembra assecondare la
sciagura, diventa complice del male che lo colpisce e aiuta la sofferenza a scavare la sua
stessa fossa. Comincia a sentirsi colpevole delle disgrazie e delle mancanze
che lo hanno colpito. Sembra sempre più vicino ad abbandonarsi ad un gesto
estremo quando, inaspettatamente, sembra intravedere un’ancora di redenzione
proprio nella vicenda principale del film, la possessione della giovane Regan. Il
suo coinvolgimento negli eventi non appare mai casuale: ricordiamo infatti che
lo stesso prete era presente fin dalla prima apparizione della madre della
bambina all’inizio del film, durante le riprese del film che l’attrice stava
girando nella finzione della cupa Georgetown. Un intreccio di storie che quindi
appare segnato fin dall’inizio. Come si colloca quindi l’episodio dell’esorcismo
nel percorso personale di Carras? Per rispondere in maniera adeguata a questa
domanda profondamente filosofica dovremmo perderci nella teodicea e nell’analisi
meticolosa del rapporto storico e temporale tra Dio e suo figlio Satana, ma ciò
occuperebbe uno spazio eccessivo. Diamo per assodata quindi l’esistenza di Dio
asserendo come riprova l’esistenza tangibile del male, come visto nelle
apparizioni sui muri e sul mobilio della casa delle protagoniste e come
dimostrato poi nel finale. Potremmo interpretare le coincidenze che portano all’incrocio
apparentemente fortuito delle storie dei protagonisti come un disegno voluto da
Dio per significare un percorso di vita smarrito da Carras e contemporaneamente
contrastare la presenza ingiustificata del male nel corpo di un’innocente
dodicenne. Attraverso l’esorcismo della piccola Regan, Carras è invitato a
redimersi, a spogliarsi dei pesi che il tempo e le scelte della vita hanno
posto su di lui. Dio gli conferisce finalmente la possibilità di mostrare il
suo valore e la profondità del suo credo di fronte al Signore. L’uomo si lascia
infatti convincere dalla contingenza degli eventi, rimette gli abiti del
sacerdote e si prepara al’ardua battaglia psicologica con il demonio in nome di
Dio, riponendo in Lui la sua persona e tentando di fugare i suoi dubbi di fede
e di vita attraverso la fede stessa. Ma il peccato è andato troppo oltre e la
redenzione definitiva può arrivare solo attraverso la morte degli esorcisti. Il
male può essere vinto solo dalla fede più pura, quella che non teme più la
morte, e così avviene.
Il titolo del film non è “Possessione”, né “L’Esorcismo”,
ma “L’Esorcista”, e la scelta delle parole in una pellicola così pregna di
significati mistici la dice molto lunga sulle intenzioni dello sceneggiatore e del regista. Alla
luce di quest’analisi sommaria, e volutamente priva di riferimenti alle scene
più forti della seconda metà del film, mi risulta difficile catalogare questo
classico senza tempo come un film horror, come un prodotto che ha come primo
intento quello di terrorizzare lo spettatore. L’Esorcista non è forse il
miglior horror di tutti i tempi, ma un thriller psicologico di questo calibro,
così profondo e complesso nella lettura dei suoi significati celati, difficilmente
riusciremo a vederlo ancora al cinema.
Nessun commento:
Posta un commento