Dopo qualche episodio speciale, per così dire, rieccoci
tornati al format solito: cinque album, nuovi, interessanti, diversi e
altrettante canzoni per quei pigri che non hanno voglia di ascoltarsi un album
intero. E non sanno cosa si perdono. Voi asoltatele, io cerco di capire se
Kanye West ha finito o no The Life of Pablo, così riuscirò a parlarne forse,
prima o poi. Chissà.
Certi album hai bisogno di ascoltarli al momento giusto e
nel posto giusto per interiorizzarli. Per quel che riguarda il III album del
trio berlinese il momento giusto è stato una mattina verso le cinque e mezza e
il posto giusto è stato Milano, nello specifico quel segmento della capital
benvestida che va da Porta Venezia al Duomo. Ovviamente a piedi, tra furgoncini
che portano il latte ai bar, clochard addormentati e psicopatici che fanno
jogging in una calma e un silenzio surreali riempiti soltanto dai beat che
dalle cuffiette andavano a pigiare sui miei timpani. Vi auguro di non dover
essere ancora svegli e in giro ad un’ora del genere, quindi III ascoltatelo un
po’ come e dove e quando vi pare, ma ascoltatelo.
Contestualizziamo: nel 2011 iniziava la primavera araba,
non c’era la guerra in Siria, da Fukushima uscivano cose poco simpatiche,
qualcuno si dimetteva, io ero in terza liceo. O in seconda credo, non sono
bravo con le date. Insieme a tutto ciò usciva Hurry Up, We’re Dreaming degli M83, che in realtà è uno solo. In
cinque anni ne cambiano tante di cose e anche il nostro Anthony Gonzalez è
cambiato parecchio. Se vi aspettavate qualcosa in stile Hurry Up ecc. da Junk
rimarrete delusi. Non ha infatti nulla, ma proprio nulla a che fare con nessuno
dei precedenti lavori dell’un tempo duo francese. Se invece vi piacciono i
cambiamenti, quelli un po’ folli, quelli che fanno partorire un pezzo come Do
It, Try It, allora troverete pane per i vostri denti.
Sempre parlando di ritorni e lunghe pause, sono tornati
TLSP, fermi ormai dal lontanissimo 2007(!). La grande, sostanziale differenza
rispetto al ritorno degli M83 è che loro non sono cambiati affatto. Sì ok,
Turner ha i capelli lunghi e Kane non ha più quella faccia da ragazzino, ma lo
stile è rimasto il loro. Everything
You’ve Come to Expect si pone in perfetta continuità con The Age of Understatement, a partire dal
titolo lungo. Forse è proprio questa l’unica pecca, se proprio dobbiamo
trovarla, in un album per altri versi ottimo: poca voglia di mettersi in gioco
da parte degli ex bimbi Turner e Kane. Ma in fondo queste collaborazioni sono fatte
per divertirsi, e il divertimento non manca di certo, né per loro che suonano,
né per noi che ascoltiamo.
Il primo momento in cui rifletti sulla tua inutilità è
quello in cui guardi le olimpiadi e vedi vincere per la prima volta un atleta
della tua età o peggio. Il secondo momento, quello in cui prendi
definitivamente coscienza del fatto che non lascierai traccia in questo mondo è
quello in cui ascolti un bell’album di un artista con qualche anno in meno di
te. AURORA è norvegese ed è del ’96 (già, non ha nemmeno vent’anni), ha
esordito quest’anno con un album notevolissimo se si considera la sua giovane
età. Le atmosfere sono decisamente scandinave ma non per questo fredde,
riescono anzi a coinvolgere chi ascolta con un pop per niente banale. Detto
questo scappo, vado a registrare un album, altrimenti mi sento vecchio.
ANNUNCIO: a Dicembre questo disco sarà nella mia
personale classifica dei miei album preferiti del 2016 e per di più, azzardo,
nella top ten. Potrei anche fermarmi qua. Mi sa che lo faccio davvero.
Ascoltatelo. È bellissimo.
Marsha Bronson
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