Un referendum al veleno che ha fatto trepidare il quorum
ad alcuni (pochi), lasciando indifferenti altri (troppi). E qui è necessario
aprire una digressione importante: l’importanza del voto. Nel sistema
democratico che abbiamo scelto, o che comunque ci siamo trovati ad affrontare,
emerge spesso la mancanza di coinvolgimento pubblico nella “Cosa Nostra”, che
sta diventando troppo spesso privata. I giovani si scontrano con un sistema
difficile da contrastare e da penetrare, mentre i più adulti paiono ormai
rassegnati che le cose vadano come stiano andando. E quando dico più adulti
intendo quei giovincelli sulla quarantina con IPhone e risvoltino, i figli del
capitalismo anni ‘90 che hanno un orticello rigogliosissimo. Ecco dunque
spiegato il successo di quel movimento che sembra riaccendere la speranza in un
futuro diverso, ma che ancor più velocemente la spegne. Ma ci torniamo dopo. Il
punto è l’assunzione di responsabilità e l’annullamento del campo. L’ultimo
baluardo della democrazia diretta, in un paese governato secondo un piano mai
approvato, è il referendum abrogativo. Che sinceramente sembra poca cosa, e
infatti è poca cosa, e proprio perché trattasi dell’ultima poca cosa
democratica rimasta in una democrazia traballante, è bene non nascondersi
dietro l’ombra della diffidenza e dell’indifferenza, che poi insieme coprono
meno di un mignolo. Se questi Turisti della Democrazia cominciassero ad
accogliere invece il peso della responsabilità di chiamarsi “cittadini” e
riprendessero la posizione che gli spetta di dovere avremmo meno assenteisti e
più campo. Così che, se un giorno questo fosse tutto campo, anziché tutta
campagna, quelli che un tempo si fregiavano della loro discesa, verrebbero
schiacciati dall’interesse degli ex disinteressati e non ci sarebbero più Self-made
man salvatori della patria e di se stessi, e di se stessi.
L’indifferenza, la rinuncia al voto sono il più grande
smacco per un sistema fondato sui cittadini, e non sui signori che siedono in
poltrona. Perché se oggi siamo un piccolo paesino in recessione continua è
anche grazie a coloro che “Tanto non cambia niente”. Perché abbiamo provato che
girandoci di spalle non cambia niente. Proviamo invece ad affrontare la realtà
dei fatti, a riprendere in mano il nostro paesino naufragato coi naufraghi, il
nostro presente e di conseguenza il nostro futuro. Basta poco. Basta cominciare
ad essere parte della macchina chiamata Stato.
Digressione importante chiusa. Perché tutto questo
astensionismo per un referendum? Senza voler andare a scavare nella storia
contemporanea del nostro paese, senza voler tirare in ballo numeri, Almiranti e
Berlinguers, vorrei soffermarmi su due atteggiamenti differenti, ma altrettanto
deleteri per la politica italiana: Renzi (o Napolitano) e Grillo.
Renzi, in qualità di Primo Ministro italico, ha bollato
qualche giorno fa il referendum del 17 aprile come una bufala, invitando gli
elettori all’astensione per favorire il partito del NO in vista del quorum. Ha insomma
rimandato ancora il confronto, ha indicato ancora la via della rinuncia. E ci
troviamo nuovamente a voltare le spalle alla cosa pubblica. Anche l’ex
Presidente della Repubblica aveva espresso idee simili in un’intervista
precedente. Questo atteggiamento condiviso è oltraggioso, inaccettabile. Quando
due figure così importanti per la politica e il funzionamento della macchina
statale guidano il carro del non voto, abbiamo fallito come paese, come congregazione
di menti. Qualcosa ha fallito e siamo naufragati come complesso di vuoti in cui
non arde più la gioia di creare qualcosa di stabile e vitale insieme, uomini
soli. Le trivelle hanno trivellato anche noi, lasciandoci esanimi in balia di
quello che vorrebbe essere chiamato stato e che ci spinge a non reagire, ad
accontentarci di andare a fondo lentamente.
Per motivi simili vanno condannate le parole pronunciate
da Grillo in quest’intervista al portale Fanpage.it. Riassumendo il discorso del
comico, che torna a fare il comico dopo aver costruito un movimento, che poi in
realtà è un partito (ma non ditelo ad alta voce), egli invita gli elettori ad
andare alle urne per il referendum non perché interessati alla questione, non perché
sensibili all’ambiente o convinti che un mondo diverso sia possibile a partire
da queste piccole, insignificanti vittorie, ma perché lo dice lui, Grillo. Egli
esorta a non soffermarsi tanto sulle questioni, quanto sui volti che cercano di
convincere l’elettorato. Se da una parte il suo atteggiamento non andrebbe
messo sullo stesso piano dell’astensionismo del cosiddetto “Premier”
(virgolette sia per il termine improprio che per la figura), non è possibile
accettare che nel 2016, dopo 155 anni dall’unità, in Italia si debba ancora
andare a votare sulla fiducia. È la fiducia nelle facce perbene che ha
annullato lo spirito critico, è la massificazione che ha cancellato l’identità
politica e lasciato spazio al grande Centro in cui ogni giorno sembra una Guerra
del Vietnam infinita e poi si taglia sempre lì, si nega sempre lì. E muore la
dignità. Questo invito, che si avvicina di più ad un ordine da parte del
generale Grillo, richiama quel periodo lontano in cui i diversamente pensanti
del movimento venivano estradati e messi alla gogna mediatica e non. Andare a
votare senza informarsi è tramutarsi completamente nell’ingranaggio che da anni
cerchiamo di estirpare, è diventare quello che erano gli elettori di
Berlusconi, che raccontava barzellette, e di Bossi, che raccontava barzellette.
Ma in realtà non abbiamo mai smesso di trasformarci in meccanismo della
macchina che non va dove dovrebbe e Berlusconi è ancora a piede libero e al
posto di Bossi c’è Salvini. Quando si usa impropriamente il termine “evoluzione”
(virgolette perché l’ultima evoluzione che ricordi è quella dal sapiens al
sapiens al quadrato).
Probabilmente non era importante andare a votare per raggiungere
il quorum e far vincere il partito del SI, di quelli che vorrebbero tamponare
il violento accanimento dell’uomo su una Natura succube. Probabilmente era più
importante andare a votare per dimostrare di voler ancora essere parte di
qualcosa, di tenere al paese che ci ha dato i natali o che ci ospita, talvolta
di cattivo grado, talvolta di cattivissimo. Ma così non è Stato, abbiamo ancora
abbassato la testa. E allora forse ci meritiamo una classe amministrativa
incompetente e inconcludente, un revisionismo storico forsennato volto ad
innalzare la sva figura, un paese in declino, un futuro appannato, la disoccupazione
giovanile al 38%, il Mezzogiorno desolato, l’odio razziale, la mala sanità, la
mafia, la terra dei fuochi, le mazzette in Lombardia e questa natura morta che
ci resta. We get the world we deserve. Ancora True Detective 2, che era una
serie bellissima, e non l’avete capita, e anche questo paese era bellissimo, e
non l’abbiamo capito.
Nessun commento:
Posta un commento