Dall’indie alle major al it-pop al mashup definitivo.
Viito arriva per dare il colpo di grazia al gusto e rendere reale una nuvola di
pensieri sparsi.
Dall’anno zero dell’indie, a volerlo ancora chiamare così
- facciamo per capirci -, facciamo il 2015, anno di pubblicazione di Mainstream di Calcutta, il mercato del
sottobosco discografico è andato consapevolmente in contro ad un imbuto che ha
contribuito ad indirizzare il gusto verso un certo genere musicale, un certo
personaggio, un certo sottotesto sociale. Viito è il primo - non l’ultimo -
prodotto perfetto dell’imbuto indie.
Troppoforte è
la summa definitiva di questi anni amari, giovani e meno giovani, di un paese
che si è adattato. E forse la rabbia e la carica mezze rock dell’adattamento
tutta questa rabbia e tutta questa carica non le possiedono davvero. Il primo
lavoro di Viito e Giuseppe, direttamente from Capital City, è un po’ come
Rimini, che è come il blues: dentro c’è tutto; ma di tutto di quello che già c’era,
che già avevamo dentro.
Il sound anni ’80, con tutti i suoi synth, è ripreso pari
pari dagli ultimi due album dei Thegiornalisti, quelli che hanno consacrato
Tommaso Paradiso a personaggio nazionalpopolare. E di Tommy Paradise si
ritrovano anche i bridge sbiascicati, che prima erano di Jovanotti e adesso
appartengono all’indie.
I testi dei Viito corrono abilmente sul filo di lana che
separa lo sfarzo della vita digitale su Instagram e la fine della storia
giovanile, annegata in un cocktail di Redbull e lexotan. Il lexotan era proprio
uno dei cavalli di battaglia dei Cani più pop-punk di Glamour. Il precariato invece
arriva direttamente dagli Ex-Otago e dalle loro dispute tra giovani e matusa. In
generale Troppoforte porta con sé - o
almeno tenta di farlo - il fardello del disagio giovanile, delle mode scadenti,
della vita priva di prospettive ed obiettivi, del mondo degli adulti che ha
prosciugato le risorse e di una postadolescenza complicata. Ma arriveranno
tempi migliori.
C’è l’industria porno, c’è la nazionale del duemilessei
ma dentro casa, molto alcool, qualche serie su Netflix, le coste libiche, la
droga giusta. E poi c’è Roma, culla dell’indie. Imprescindibile in ogni album
che voglia passare in fretta dal baretto dell’amico di papà al Palalottomatica,
o all’Arena, se vi gira particolarmente bene.
Il punto più alto del disco è però il campionamento dell’Inno
di Mameli in chiave dance anni 2000 presente in Mondiali. Ed è subito Materazzi
è caduto / perché ha preso una testata / la testata gliel’ha data / Zinedine
Zinedine Zidane, e le suonerie per i primi cellulari con lo schermo a
colori, i servizi in abbonamento, quando si stava peggio ma si stava meglio,
aridatece la Ggioconda!!! Nun c'avete manco er bidè!!!
Nel complesso Troppoforte è
un album musicalmente scadente. Nostalgico ma idiomatico. Rappresenta l’italianità
e il gusto che abbiamo acquisito negli ultimi tre anni. Ma è il nostro gusto ad
aver rovesciato l’industria musicale o ci siamo adattati fin troppo bene, senza pretese, senza fare storie? Sta di fatto che ora siamo questi, la mia generazione di ossimori. Scappati
di casa che vivono con i genitori. E torniamo idealmente su noi stessi in una
storia che ha smesso di scorrere dal tempo e forse va all’indietro o forse si è
fermata. L’eterno ritorno dei Mondiali del 2006 è il nostro momento di libidine
quotidiano.
I Viito prendono fin dal primo ascolto, sanno come farsi
voler bene, perché non sono loro, loro siamo noi. Stiamo ascoltando noi stessi, ma
non ci si stanca mai di ascoltarsi?
Può un uomo
collocarsi fuori dalla sua storia [... ]? No, non lo può. Questo uscire dalla
storia, adottando una falsa e bugiarda ottica di postero o di cherubino, è un
atto caro ai reazionari, e i giornali di destra sono pieni di scrittori che si
prestano a simili ascesi, atte a soddisfare il bisogno spiritualistico dei
piccoli borghesi
E io sarò pure piccolo
borghese di nascita, ma di sicuro non sono reazionario, né tantomeno un
giornale di destra. Quindi cerco di criticare le cose con poche competenze e
poi ascolto i Viito da una settimana ogni volta che salgo in auto, quando
faccio la doccia, quando ramazzo la stanza servile. Sorrido quando dice “Se facciamo l’amore,
l’industria porno muore” e canto a squarciagola il ritornello di Compro oro.
E quando sono triste vado
a rivedere il gol di Del Piero contro la Germania:
Arriva il
pallone, lo mette fuori Cannavaro! Poi ancora insiste Podolski, CANNAVARO! Via
il contropiede con Totti, dentro il pallone per Gilardino. Gilardino la può
tenere anche vicino alla bandierina. Cerca l’uno contro uno, Gilardino dentro Del
Piero, Del Pieroooo! Gooooooooooool!!! Aleeeeeeeeex Del Pierooooooooooooo!!! Chiudete
le valigie, andiamo a Berlino! Andiamo a Berlino! Andiamo a prenderci la coppa!
Andiamo a Berlino!
E andiamo a Berlino. Magari è meglio di qua e di quando guardavamo Roma.
1 commento:
l'indie mi fa schifo ma ora ho la nostalgia dell'estate 2006, :)
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