“Ma loro chi?”
“Loro, quelli che contano”
Approcciarsi alla materia sociale in cui ancora
annaspiamo è opera complessa, e per questo motivo, fin dai titoli di testa, Sorrentino
ha scelto di sospendere la ricostruzione storica a favore della resa ideale di
un periodo florido, complesso, perverso. Il film è “Loro” e anche “Lui”, il
film che dovrebbe avere come protagonista, mattatore indiscusso l’ex capo del
governo Berlusconi indugia per buona parte della pellicola sul sistema
costruito attorno all’età d’oro dell’imprenditore. Allora un Lui di
mussoliniana memoria aleggia nei salotti, nelle feste e nelle sfarzose abitazioni
che affacciano su piazza di Spagna; il Suo peso politico ed economico riempie i
dialoghi di una schiera di personaggi emuli della grandezza e in cammino verso
la punta della piramide sociale. Il generale, l’elemento sociale su cui poggia
il film di Sorrentino è proprio una piramide che vede nel suo vertice la figura
cardine di Berlusconi e alla base tutti coloro che aderiscono al sistema di
appalti, olgettine, favori e ville in Sardegna sperando un giorno di poter
scalare questa piramide. Berlusconi è un modello, punto d’arrivo, in ogni
momento è garante della sistematicità della piramide pur non essendo realmente
al centro di questa o quella questione spinosa, tanto che lo vedremo poi
godersi un generoso lasso di tempo nella sua villa in Sardegna durante il
governo Prodi del 2006. Il Berlusconi di Sorrentino ha ormai marchiato un certo
stile di vita con il suo volto (come si può notare nella prima scena di sesso), la sua immagine è il simbolo di un ventennio e
di tutte le più deplorevoli contraddizioni che hanno caratterizzato il nostro
popolo. Quindi Loro cerca di raccontare da una parte delle vite più semplici e
dissolute che ambiscono a frequentare i luoghi del potere e della cocaina, dall’altra
la figura umana e megalomane dell’uomo Silvio, ma soprattutto Sorrentino ha
curato la resa di un sistema di ideali e rapporti che per anni ha rappresentato
il culmine della nostra società.
Sergio Morra, interpretato da un convincente Riccardo
Scamarcio, è il prototipo dell’imprenditore senza scrupoli, avido di fama,
ricchezza e soprattutto di potere, che segue una parabola ascensionale per
raggiungere Lui e quindi i luoghi della gente che davvero conta. In questo
percorso è accompagnato dalla disinibita compagna Tamara e dall’avvenente Kira,
una donna molto vicina a Berlusconi. Tra prostituzione, droga e corruzione, la
vicenda di Morra lo porterà presto ad un passo dal sogno. Ma ciò che più
interessa è la costruzione del mondo che ruota attorno a questi personaggi
archetipici: una rete di conoscenze e favori che vanno dalla gara d’appalto per
le mense scolastiche alla vita del centro-destra in un momento complesso, dal
capo della protezione civile alla tratta del corpo femminile. Sorrentino coglie
nel segno, soprattutto perché in linea con il suo stile barocco, quando
restituisce l’immagine dell’uso che si è fatto del corpo femminile in questo
ventennio. Le soubrette, le veline, le ragazze alla ricerca di un'ascensore sociale, tutti retaggi che ancora oggi cerchiamo di escludere dalla nostra
quotidianità e che non possiamo non attribuire al sistema spettacolare di
Berlusconi. Se la donna in Italia, dati economici e sociali alla mano, deve
ancora compiere il passo decisivo per raggiungere l’uomo lo si deve anche al
modello dei primi anni 2000 che ha sicuramente rallentato – e forse anche
invertito – in processo già in atto precedentemente. Allora Sorrentino si
dedica all’inquadratura di corpi nudi, prestati, ma oggettivati al punto da
essere desessualizzati: non c’è trasporto verso un fine nobilissimo come il
piacere, ma tutto ciò che definisce all’apparenza una donna è ridotto a
mezzucolo per banchettare al tavolo dei vincitori e spartirsi una fetta di
questo finito potere. Il corpo della donna non ha più nulla di femminile.
La seconda parte dell’opera, con uno stacco fin troppo
grottesco, è dedicata alla figura polarizzante di Lui. Il Berlusconi di
Servillo è sui generis e non sembra voler scimmiottare il personaggio pubblico
che conosciamo e che abbiamo già rivisto in centinaia di imitazioni, quanto
piuttosto dare un’interpretazione
personale dell’ideale che noi tutti abbiamo della figura pubblica dell’ex
cavaliere. Probabilmente questo era l’unico modo per rendere un contemporaneo
collocato in un preciso contesto storico e qualunque altra soluzione avrebbe
stonato più di quanto ha fatto l’interpretazione di Servillo.
Il Berlusconi di Sorrentino non è l’uomo disinibito che
ha raccontato la stampa italiana, ma vive nella stessa magnificenza di quel
fantasma che abbiamo creato negli anni. È il selfmade-man che noi tutti
conosciamo e, anche in un momento di stanca, con un matrimonio in crisi e la
sinistra al governo, anche nel semplice atto di scrutare i confini della sua
proprietà in Sardegna, il Berlusconi di Loro lascia trasparire il potere che è
scorso nelle sue vene e quello che ancora dovrà scorrere. È l’uomo che regge
una società dietro la società e non potrebbe essere altrimenti.
La narrazione frammentaria tipica del cinema di
Sorrentino alterna eventi reali a momenti onirici, con una punta di grottesco a
fare da filo conduttore. In alcuni frangenti, la continuità viene interrotta
per dare spazio al puro simbolismo che aveva reso celebre La grande bellezza,
ma questa particolare tecnica ha bisogno di due elementi: la
contestualizzazione, che permette allo spettatore di restare “nella” pellicola,
e la giusta dose di ambiguità che rende l’interpretazione non immediata. Nel caso
di Loro, Sorrentino fallisce sotto entrambi gli aspetti e le scene più ermetiche
– la capra, l’immondizia, la terra che risale dal giardino - risultano loro
malgrado ilari, fin troppo chiare nel loro significato più profondo e slegate
dal tono e dalla continuità della pellicola. Non sono un amante dei film che
procedono per inganni ed indovinelli quando il senso dell’opera sarebbe un
altro, ma è innegabile che il livello della costruzione e della scrittura de La
grande bellezza è imparagonabile a questo, e ciò denota semplicemente che ci
troviamo di fronte all’opera non meglio riuscita di Sorrentino.
Trattare l’argomento del ventennio Berlusconi era una
scommessa complessa, eppure il connubio tra singolo e sistema scelto da
Sorrentino pare al momento la scelta più intelligente. La prima parte di un
film completo si scinde a sua volta in due segmenti, diversi sotto tutti i
punti di vista, dalla regia alla fotografia al ritmo. Entrambe le sezioni di
Loro 1 mostrano grandi punti a favore e lasciano un senso di disgusto forte
dietro le risate a denti stretti, ma, allo stesso modo, entrambe risentono di
un problema fondamentale: dove stiamo andando? Qualcosa di già abusato si
mischia ad una rivisitazione personale per dare vita ad un montaggio prima
frenetico, poi più quieto di una storia senza storia, una serie di eventi che
non muovono la narrazione ma mostrano, per un grande esercizio di stile che non
arriva alla critica e non sviluppa abbastanza la sua realtà. Su questo giudizio
pesa certamente il fatto di trovarsi di fronte al primo tempo di un’opera più
imponente, ma nei cento minuti di Loro 1 non vengono poste le basi a
sufficienza, non si entra davvero nel vivo della narrazione, non si stuzzica l’intelletto
e la fantasia per quanto un film di Sorrentino dovrebbe essere in grado di
fare. Un’opera a metà, finora riuscita a metà.