Qualche giorno fa è uscito il video del
singolo This Is America di Childish Gambino a.k.a. Donald Glover,
a.k.a. Lando Calrissian, a.k.a. altre cose, che ha monopolizzato le discussioni
nell’etere come raramente succede. Ok no, succede sempre, ma raramente in
questo modo. E non c’è da stupirsene: Donald Glover non è mai stato limpido
nelle sue creazioni; ti stuzzica con immagini e suoni, ti fa intuire che c’è un
ulteriore livello di lettura e ti spinge, idealmente, a scoprirlo. È un modo di
fare arte profondamente del nostro tempo, dell’epoca dei social, di reddit, del
citazionismo sfrenato. Childish Gambino
è indubbiamente figlio del suo tempo – lo stesso moniker, “Childish Gambino” è una creatura di internet – a volte
anche troppo: ve lo ricordate because the
internet? Manco a dirlo, il filo conduttore di quel suo secondo lavoro in
studio era il linguaggio del web e la sua sintassi universale. Ciò che tuttavia
non è sempre universale è la frase con il suo significato: di fatto quell’album
farcito di riferimenti vari era incomprensibile a chiunque non fosse
particolarmente “woke”, figurarsi ad un europeo. Da allora sono passati cinque
anni, un album e due stagioni di Atlanta e forse abbiamo più strumenti per
addentrarci nelle circonvoluzioni di uno dei personaggi più eclettici di questo
decennio. Su internet si trovano innumerevoli articoli che spiegano o tentano di spiegare ciò che si vede nel video, tutte
interpretazioni valide che qui non ripeterò. Quello su cui vorrei concentrarmi
non è tanto ciò che accade sullo sfondo ma la figura di Gambino. Tutti sembrano
concordare su due cose: il riferimento a Jim Crow – maschera ottocentesca, personificazione satirica e razzista degli stereotipi
legati agli afroamericani – e il fatto che in qualche modo quel modo di
muoversi serva a catalizzare l’attenzione spostandola da ciò che succede dietro.
Sono entrambi spunti importanti, a cui però si può aggiungere un passaggio.
In una puntata di Atlanta: Robbin’ Season Darius ha una conversazione con quel capolavoro di personaggio che è Teddy
Perkins, il quale afferma “Rap never
quite grew out of his adolescence.”. (È l’ultima volta che cito Atlanta,
giuro). Il ballare di Gambino nel video è sì stereotipato, grottesco quasi ma,
unito al testo, rimanda anche a balli demenziali realmente esistenti, attuali,
e in generale a quella “cultura di internet” tanto cara a Glover; una cultura
che è in effetti immatura, adolescente appunto. L’impressione è che sia proprio
quella cultura a dettare le mosse di quella danza. Insomma Childish Gambino nel
video rappresenterebbe – il condizionale è d’obbligo – una sorta di
personificazione dell’hip-hop di oggi, costretta a muoversi secondo le regole
del contesto pop nel quale si è
trovato immerso, più o meno consapevolmente alla ricerca di approvazione da
parte del pubblico – in tal senso fa specie l’insistenza con la quale guarda in
camera. Sullo sfondo la realtà, violenta, drammatica e impossibile da
raccontare, non per mancanza di volontà ma perché non ha sufficiente presa su
di un’audience che non è direttamente coinvolta da essa.
All’affermazione di Teddy Perkins, Darius
risponde che “Sometimes people just want to
have a good time.” ed è vero: la comunità afroamericana non ha bisogno di
sentirsi predicare ciò che già sa. La realtà violenta e drammatica la vivono
quotidianamente, loro, ma tutti gli altri? L’hip-hop è uscito dalla sua nicchia
da tempo ormai, è ascoltato in modo trasversale e per molti ha per forza di
cose perso un contesto, associabile solo
a notizie vaghe lette di sfuggita nel feed di Instagram. È anacronistico
parlare di colpe dell’industria discografica nel 2018, ma ci sono un buon
numero di analogie con quello che successe al punk negli anni ’80: un genere di
nicchia, nato all’interno di una minoranza, fagocitato dal pop per poi essere rigurgitato senza spigoli, innocuo. In altri
termini, un’appropriazione culturale. La differenza è che mentre la parola punk
è ormai diventata di per sé uno stereotipo, direttamente associata ad
un’immagine privata di contenuto, l’hip-hop conserva ancora la sua capacità di
rappresentare una cultura, seppur minoritaria, in tutti i suoi aspetti. This Is America sembra voler avvertire
che per far sì che questa sua capacità si conservi anche fuori dalla sua
nicchia ecologica originaria serve impegno attivo da parte di chi narra e da
parte di chi ascolta.
E se era veramente questo l’intento be’, non
poteva essere reso in maniera migliore. Chapeau.
Davide Quercia
Nessun commento:
Posta un commento