Il dato di fatto da cui partire è il malcontento
generale, la mancanza di appagamento che questa doppia opera del regista premio
oscar ha lasciato nel pubblico italiano. Loro non è stato il capolavoro di
Sorrentino, né un film spartiacque sulla rappresentazione del politico più
influente della Seconda Repubblica; ma entriamo nel merito della delusione
popolare e cerchiamo di intercettare il momento in cui Loro (1+2) ha infranto
le aspettative che gravavano sul suo capo.
Innanzitutto l’approccio al personaggio che, nella sequela di
festini a base di donne svestite mostrati nei vari trailer, si presentava come
il presupposto adatto per la rappresentazione lirica propria di Sorrentino da
La grande bellezza a questa parte. L’autore ha invece scelto la via del
materialismo estremo mescolata ad una preponderante componente ironica che ha
ridotto di molto la portata della critica sociale che si sarebbe potuto
poggiare sulle spalle della narrazione di “Loro”, costruita sulla messa in
scena. Ma, d’altra parte, nelle varie interviste rilasciate negli ultimi mesi,
l’autore ha sempre sottolineato l'uso universale che Loro fa della figura
di Berlusconi, elevando la relazione con gli Italiani al gioco storico del
potere, la vicenda con Veronica Lario a storia d’amore per antonomasia. Allora emerge
forte una contraddizione tra una resa terrena, molto vicina alla realtà della politica e della società italiana tra il 2006 e il 2009, e la volontà di
parlare dell’umanità attraverso il singolo. Si percepisce la spinta centrifuga
ed estendere le questioni personali, ma quel Tony Servillo che pare di gomma,
con un accento che trascende l’imitazione verso l’interpretazione, incarna la
figura per eccellenza della politica, dell’imprenditoria, dello sport e dello
spettacolo italiano, e questo fa sì che le pretese di universalità vengano
fagocitate sullo schermo da una figura troppo ingombrante. E lentamente, dalla
venuta di Silvio in poi, l’impianto dell’opera va via via focalizzandosi sulle
imprese terrene dell’ex primo ministro, tradendo le premesse e la volontà
esplicitata dall’autore. È indubbiamente una grande epopea, ma è l'epopea di Silvio Berlusconi e forse di nessun altro.
Fondamentale nell’analisi di quest’opera è il passaggio
necessario attraverso The Young Pope. Checché se ne dica, nonostante Netflix
tenti di continuo di limare le distanze, c’è uno scarto ancora palese tra la
scrittura televisiva e quella cinematografica. Sorrentino è riuscito
egregiamente a superare le difficoltà del passaggio dal grande al piccolo
schermo - avendo oltretutto fatto esperienza di fiction italiana prima di
approdare al cinema nel 2001 - ma il ritorno dalla serie con Jude Law sembra
aver lasciato delle scorie e, dietro il tentativo dichiarato di riprodurre la
frammentaria quotidianità dell’ex cavaliere, si cela una scrittura dei
personaggi tipica dei racconti gestiti in uno spazio maggiore. Cosa ne è dei
caratteristi della prima parte? Quasi tutta la costruzione dell’attesa di Loro
1 viene accantonata per fare posto a quello che a tratti sembra un altro film,
un’altra puntata di una serie antologica. E alcuni momenti tendono davvero ad
imitare i tempi e le modalità della televisione, con personaggi
abbozzati che sarebbero certamente stati più utili e tridimensionali in uno
sviluppo seriale a 8/10 ore. Vedi Morra, Kira, Santino Recchia, Cupa, Riccardo Pasta e molti altri.
Tornando alla struttura episodica della doppia opera, ciò
che davvero è mancato e ha fatto sì che tutto l’impianto tendesse a precipitare
su se stesso è una trama orizzontale degna di un’opera da 200 minuti sulla vita
di Berlusconi e dell’Italia nell’ultima età dell’oro prima della crisi
economica. Per fare un esempio restando nella filmografia dell’autore: anche
This must be the place - opera passata in sordina che io reputo il vero
capolavoro di Sorrentino - era strutturato per eventi sconnessi in un road
movie sui generis, ma ogni momenti criptico era legato all’altro dalla
volontà del protagonista di arrivare in fondo ad un viaggio simbolico e fisico
per vendicare il padre e ridare senso ad una vita perduta. E voi potrete
obiettare che la vita, il tema principale di Loro secondo il suo autore, non ha
una trama. Su questo devo darvi ragione, e il tentativo di avvicinarsi ad una
frammentarietà del genere è interessante, ma ciò non toglie che il risultato
scada spesso nella confusione e nella dispersione più totale. Per cui non basta
l’intento a fare del cinema arte.
Il registro utilizzato rappresenta un altro punto a
sfavore: l’alternanza di scene romantiche, scene drammatiche, momenti d’ilarità
e ricostruzione storia tende a produrre una sfumatura schizofrenica di un
parlato comune, un impostato teatrale, espressioni semplici, allusioni velate e
un numero notevole di frasi ad effetto che stonano terribilmente con l’interno
del film, soprattutto rispetto alla cornice che lo stesso regista aveva
delineato con il lungo preambolo della prima parte dell’opera. Forse l’ironia è
l’unica chiave di lettura attraverso cui sorvolare sull’eclettismo di una
pellicola che, nella sua universalità, ha perso anche la sua linea stilistica
definitiva.
Ma facciamo un accenno all’interpretazione della seconda
parte dell’opera dopo aver approfondito la prima poche settimane fa. Nonostante
la seconda parte, nel suo materialismo, tende a lasciare meno spazio all’interpretazione,
sono rimasto incollato alla poltrona del cinema quando ai titoli di coda e alla
scritta “Loro” si sono sovrapposte delle meravigliose immagini di ipotetici
italiani sfollati dopo il sisma dell’Aquila del 2009. Nulla mi potrà far
cambiare idea sul fatto che questi Loro, questo pronome che avevamo prima
attribuito ad una classe alta di emuli, poi ad una casta, ricada infine su di
noi, che guardiamo ora ad un ventennio dai colori ingialliti, ma che è tornato
vivo nelle feste di Sorrentino proprio per il fatto di non essere mai
ingiallito davvero. Noi che tentiamo di dare un’immagine razionale di un
periodo idilliaco e vitale che ci ha avuti, nel bene e nel male. Noi che ora
restiamo seduti tra le macerie di una cultura storica, mentre la storia del
circo italiano prosegue incessantemente e ha costruito le sue fondamenta
ipocrite proprio tra le macerie dell’Aquila e dell’Italia. Noi che abbiamo
perorato da sempre la causa dell’antiberlusconismo e una volta al giorno ci
ritroviamo a vestire i suoi panni, o almeno vorremo farlo, nel silenzio del
nostro dissenso. E proprio a quel punto ho ricevuto la più grande delusione da
Loro e da Sorrentino, perché le prospettive di una grande opera politica e
universale c’erano tutte, ma la figura di Berlusconi ha fagocitato pure quelle.
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