Tratto dal romanzo omonimo di Ernest Cline, Ready Player One
è l’ultimo lungometraggio di un sempre più prolifico Steven Spielberg che esagera
nell’infarcire la sua opera di citazioni e rimandi al cinema e alla cultura
popolare nel contesto di un videogioco universale. La grande trovata dell’autore
del romanzo è stata quella di creare il presupposto per una storia d’avventura
per ragazzi che omaggiasse le sue stesse radici e il background ideale dello
spettatore tipo. Oasis è mezzo unico per un citazionismo sfrenato, limitato
dalla sola fantasia degli sceneggiatori. “Fantasia” è la parola chiave dell’opera,
è ciò che Spielberg punta a stuzzicare con delle situazioni studiate e ricreate
alla perfezione per sbalordire lo spettatore proprio al cuore delle sue
passioni. Insieme al regista, siamo trascinati in un turbinio infinito di tutto
ciò che ha contribuito ad animare la nostra fantasia e che ancora oggi è
responsabile dell’uso che ne facciamo. Dal King Kong della prima sfida al
Gigante di ferro - per rimanere nel seminato del trailer. Queste scelte,
accompagnate da una regia popolare che non ha più alcun timore di rischiare per
puntare all’apice, producono uno spettacolo visivo innovativo e audace che
raggiunge vette emotive per certi versi immacolate.
L’impianto appena descritto si pone al servizio di un genere
cinematografico tanto caro a Spielberg, quello dei film di avventura per
ragazzi. La storia del ragazzo del ghetto abbandonato a se stesso che cerca la
rivalsa sociale nel mondo virtuale ricalca una lunghissima sequela di topoi
che, se da una parte rappresentano la più profonda citazione ad un ambito che il
regista apprezza incondizionatamente, dall’altra tendono a tarpare le ali ad un’opera
che nelle sue premesse e nella messa in scena poteva ambire ad un livello di
originalità diverso. L’appartenenza ad un genere ben preciso rappresenta le
catene di un prodotto che tende a chiudersi su se stesso e ad incensarsi in
capo prima di aver saputo superare i suoi stessi limiti, per un merito costruttivistico,
emotivo e forse non globale. Il più grande limite di Ready Player One è di
rimanere incastrato nella sua stessa materia e di non dare mai l’idea di voler
evadere da sé per proporre qualcosa di superiore. Sarebbe stato un lavoro più
apprezzabile, forse completo e senza pecche se avesse saputo reinventare i
canoni di un genere partendo proprio da un’opera autocelebrativa del genere
stesso. Il finale invece suona come lo stesso screpolato violino dalle corde
consumate, con la cassa scolorita. E forse noi spettatori, nella nostro roseo e
appiccicaticcio bagno di nostalgia, avremmo voluto incontrare anche una scala
per evadere.
Altra nota stonata è la comicità di alcune scene
che non sempre si trova in linea con gli intenti dell’opera e quindi viene
naturale interrogarsi sull’obiettivo della pellicola: la trama classica potrebbe
far pensare ad un pubblico più giovane, anche avvezzo ad opere di formazione, mentre le citazioni di cui il film è pregno si rivolgono certamente
ad una platea navigata e consapevole di alcuni capisaldi della cultura pop. La comicità
segue pedissequamente il dualismo intrinseco di Ready Player One e talvolta
questa schizofrenia risalta al di sopra della scena e della situazione
corrente, ricordando la natura della finzione.
In una parola, Ready Player One è entusiasmante nella sua
proposta, nel modo in cui alcune idee vengono sviluppate su schermo, nell’impianto
cinematografico che regge un’opera “nostra”; ma tende troppo spesso ad
accontentarsi di sé e dei suoi enormi meriti e non arriva dove sarebbe potuto arrivare, confermando
certamente la bontà di un film destinato a diventare un cult assoluto, ma non
la pietra miliare del cinema che poteva essere.
1 commento:
Noi ci siamo divertiti molto con Ready Player One!
https://vengonofuoridallefottutepareti.wordpress.com/2018/04/05/ready-player-one-divertentissimo/
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