Spettri, mobilio spiritato, oscure presenze e serial
killer dalle maschere più buffe. Potremmo riassumere così gli ultimi anni del
cinema horror, con ben poche eccezioni ad invertire un trend ormai di serie b.
E proprio dal cinema minore sbuca quest’ardito esperimento di un horror silenzioso
ed estremamente ansiogeno. A Quiet Place, scritto, diretto e interpretato dal
comico statunitense John Krasinski, è un tentativo di ridare una certa parvenza
di autorialità ad un filone decaduto nell’anonimato cinematografico. Gran parte
della pellicola è rappresentata dalle condizioni poste a priori: l’evento
scatenante dell’invasione aliena e il silenzio che regna incontrastato su una
terra quanto mai regredita ad uno stato brado. Gli ultimi uomini rimasti sono
costretti a camminare scalzi, a seguire linee di sabbia per spostarsi e a
comunicare attraverso il linguaggio dei segni. L’idea di partenza è anche il presupposto
credibile per dare un taglio stilistico particolare all’opera, che consiste in
un film di una manciata di parole, in cui la tensione è costruita dai rumori e
dalle immagini. Nel suo intento, A Quiet Place merita assolutamente un plauso e
l’incipit in cui la famiglia protagonista subisce una grave perdita risulta di
grande impatto sulla scia della bontà dell’idea originale. Eppure, quando l’opera
sembra riuscire a compiere un passo in avanti verso un’autorialità e un’originalità
fresche per il genere, la sceneggiatura mostra delle falle logiche e
concettuali che stonano con l’impianto sostenuto fino a quel momento. Comportamenti
inspiegabili, localizzazioni errate, fisica inesistente, situazioni semplici
rivoltate all’innaturale. Dall’inizio alla fine del film, il crescendo di
tensione - quella sì costruita con un certo gusto - è inversamente
proporzionale al livello medio dell’opera. Ciononostante non mancano
alcuni momenti topici centrati e apprezzabili, ma anche queste sequenze non
riescono ad esplodere la loro piena potenza perché magari ridimensionate da una
scena precedente o successiva. È un saliscendi di qualità ed emozioni che mostra
alcune buone trovate, ma scopre troppo spesso il fianco si una produzione
minore.
La qualità visiva, la realizzazione dei mostri non
riescono a rendere A Quiet Place un’opera totalmente fondata sulla componente
estetica; anche alla luce del concept di fondo, lo spettatore è costantemente
portato ad un approccio insieme istintuale e ragionato al film e i punti a
favore della pellicola spesso crollano sotto le questioni della mente. Per fare
un esempio che non rappresenti uno spoiler per chi non ha visto il film: il
mais è un fluido newtoniano?
Rendere i rapporti familiari all’interno del gruppo di
protagonisti è stata forse l’impresa più ardua per Krasinski, costretto a
sussurrare pochi dialoghi e a lavorare di sguardi e gesti. Alcuni momenti, come
il dolce ballo intimo tra coniugi, la formazione del piccolo Markus, il ritrovo
dei fratelli centrano la questione e rendono la caducità della quotidianità
perduta. Rapiscono i mezzi di fortuna - ormai divenuti automatismi - con cui la
famiglia Abbott cerca di superare il trauma dell’apocalisse aliena. Ma anche
questi attimi di vita comune nella difficoltà rientrano perfettamente nell’imperfezione
di fondo della pellicola che non riesce a trovare una continuità logica. Allora
una scena toccante è rovinata da un personaggio che non poteva trovarsi in quel
luogo, un fenomeno naturale che non si ripresenta così nella realtà.
A spiccare su un cast di livello è la giovane Millicent
Simmonds, attrice sorda dalla nascita che interpreta un personaggio a sua volta
sordo in un mondo ormai muto. La scelta è quanto mai azzeccata ed è
apprezzabile il fatto che il plot twist si fondi proprio sulla disabilità del
personaggio di finzione e quindi su quello reale dell’attrice. L’interpretazione
di Simmonds rappresenta una delle note liete dell’opera, nonostante le falle
maggiori ruotino proprio alla scrittura del suo personaggio.
Accolto dalla critica internazionale con entusiasmo contagioso,
A Quiet Place era arrivato in Italia con ben altre aspettative, la speranza di
trovarsi di fronte ad una mosca bianca per il cinema horror contemporaneo, un
fenomeno di nicchia come era stato It Follows nel 2014, ma così non è stato e l’opera
di Krasinski, seppur non detestabile, non è riuscita ad uscire da un empasse
proprio del cinema indipendente. È la scrittura: croce e delizia di un esperimento
riuscito a metà.
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