I più anziani di voi ricorderanno i tempi, ed erano bei
tempi, in cui questo illustre blog ospitava di tanto in tanto i miei discorsi
improbabili su musica e dintorni. Ebbene, l’eterno ritorno dell’uguale mi
riporta qui, a scrivere di altri discorsi ancora più improbabili. Ringrazio
l’Accademy e tutti quelli che hanno creduto in me. (Ri)Cominciamo.
Questo articolo doveva essere su Kendrick, che ha vinto il Pulitzer e tutto quanto, ma più andavo avanti
a scrivere più mi tornava in mente una puntata di Atlanta in cui Paper Boi è
ospite di un talk show surreale alla fine del quale tutti sono d’accordo tra
loro e il conduttore non sa che pesci pigliare per rendere interessante il dibattito.
Perché la verità è che in fondo tutti sono d’accordo sul Pulitzer a Kendrick:
ha vinto perché è bravo, fine. Dovevo quindi trovare qualcosa su cui la pensavo
differentemente, almeno un poco; quanto basta per scuotere la testa leggendo le
opinioni altrui, come i politici nei talk show reali. E poi è arrivato lui:
“The savior of Chicago” come lo chiamano – e con “lo chiamano” intendo “lui
chiama sé stesso” – Kanye West.
Se in queste ultime due settimane non avete vissuto in
una caverna per sfuggire a mandati esplorativi e/o spoiler di Infinity War,
avrete di sicuro sentito parlare della frenetica attività del buon (ma lo sarà
davvero buon? Eh eh.) Kanye su Twitter. Da quando è tornato sul social network
– un paio di settimane fa – al momento in cui sto scrivendo queste righe, ha
twittato circa 280 volte. Duecentocinquanta cinguettii che, quando letti tutti
d’un fiato (se no lo avete fatto, fatelo), provocano come reazione più
immediata un “Qualcuno gli tolga il telefono dalle mani per carità di dio”.
L’inizio della fine è stato l’annuncio del suo libro di filosofia, su Twitter. No, non
l’annuncio su Twitter, proprio il libro. In comode pillole di saggezza kanyeana
di 140 280 caratteri ciascuna. Fin qui tutto divertente, direte, finche:
AH. Bene. Bene così. Un bel cappellino “MAKE AMERICA
GREAT AGAIN” con tanto di autografo del Donald. Che ovviamente non perde l’occasione
per ringraziare: “Hey
guardate, un personaggio dello spettacolo che non mi odia! Un altro grande
successo della mia amministrazione!”
Da qui in poi Paura e Delirio. Polemiche. Articoli (questo,
ad esempio). Facciamo un passo indietro. Come ha detto anche John Legend in uno
scambio di messaggi condiviso su Twitter – e dove sennò – Kanye è l’artista più influente della sua generazione. Ha
rivoluzionato il modo di intendere l’hip-hop e se nel 2018, Spotify alla mano,
esiste l’equazione hip-hop = pop (in senso lato) è anche conseguenza del suo
approccio ad entrambi questi mondi. Non mi spingo a dire che Kanye sia un
genio, né tantomeno che questo possa giustificare un endorsement ad uno dei
personaggi più discutibili e discussi del momento, ma penso possiamo essere
tutti concordi nel dire che Kanye è un personaggio unico. Ed il suo pensiero
non può essere che tale: Kanye West vive per essere unico, per fare di testa
sua, per rompere i meccanismi di qualunque cosa si trovi davanti, per stupire,
infine. Da campionare i King Krimson a dire in diretta tv “Bush doesn’t care about black people”, tutto nella sua carriera è
una dichiarazione fatta con lo scopo di dimostrare il suo essere non
sostituibile, più reale degli altri (semicit.). Peraltro, ascoltando il testo
del suo ultimo brano “ye vs the people”
(che trovate qui) appare palese quanto lui sia consapevole della sua
stessa natura “perturbatrice” (oltre che messianica, ma ormai di quello ce ne
siamo fatti una ragione):
I feel a obligation to show people new ideas
And if you wanna hear 'em, there go two right
here
Make America Great Again had a negative
perception
I took it, wore it, rocked it, gave it a new
direction
Added empathy, care and love and affection
And y'all simply questionin' my methods
Un altro dettaglio importante è che Kanye non è Morrissey. Ha reso esplicito il suo appoggio al personaggio
Trump, non alle sue idee o alla suo operato (per ora). Ha twittato anche
apprezzamenti nei confronti di Donald Glover e sono sufficienti dieci secondi di
Atlanta (ma voi guardatene più di dieci secondi, mi raccomando) per accorgersi
che le sue idee non coincidono esattamente con quelle dell’amministrazione
Trump. L’ammirazione verso il quarantacinquesimo presidente non ha, forse in
modo un po’ naif, connotati politici, ma è un’attrazione culturale: sono
entrambe figure importanti, influenti, da sempre controverse e soprattutto di
primo piano della cultura pop americana di oggi. È sufficiente vedere il numero
di meme a loro dedicati. Tutto si misura in meme nel 2018.
Proprio per questo anche l’argomentazione “non è
obbligato ad essere democratico in quanto nero” è fiacca – non me ne voglia
Chance the Rapper – perché viziata dalla stessa visione dicotomica “noi vs.
loro” che ha ormai contagiato ogni dibattito rendendo qualsiasi posizione
intermedia o ambigua difficile da accettare e comprendere. Insomma, lasciate che Kanye rimanga Kanye. E
vogliateli bene sempre, che ne ha bisogno.
Davide Quercia
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