In piena fase tre del MCU è tempo di bilanci sulla nuova
generazioni di eroi chiamata a sostituire gli storici Avengers. Se la fase uno,
con le sue debolezze, aveva rappresentato un’innovazione in ambito
cinematografico, alla ricerca del connubio tra serialità e settima arte, e la
fase due aveva segnato la rottura dei canoni attraverso pellicole in grado di
coinvolgere i protagonisti di film differenti, la fase tre si fa carico
dell’arduo compito di bissare il successo delle origini per riciclare un format
attraverso nuovi personaggi, perlopiù sconosciuti al grande pubblico. È questo
il caso del Doctor Strange, al quale è stato dedicato un lungometraggio per
approfondire lo origini del personaggio, uscito lo scorso ottobre.
Il film in questione rappresenta l’ennesimo prodotto che
tenta di restringere le peculiarità di un personaggio cartaceo nella dimensione
che la Marvel ha scelto come standard per i suoi lungometraggi. Siamo quindi
introdotti ad un’ulteriore fronte della lotta alla malvagità, stavolta a
cavallo tra questa e svariate altre dimensioni alternative. Ci viene mostrata
inizialmente un’istantanea dei “cattivi” e delle loro malefatte, poi vediamo il
classico eroe-antieroe, modellato sul filantropico Stark, che vive un’esistenza
piena ma mancante di una componente fondamentale a lui ignota. Una serie di
sfortunati eventi lo costringono alla rottura della sua routine e ciò lo porta
ad apprendere arti magiche prima per guarire da un terribile incidente, poi,
visti i risultati stupefacenti nella padronanza dei poteri dimensioni, per
contrastare i “cattivi” di cui sopra. Inutile dire che l’epopea si concluda con
una vittoria schiacciante del bene e un lieto fine in cui il Dottore diventa
finalmente il supereroe della locandina del film, ritrovando il tassello mancante alla sua vita.
La trama lineare tende a seguire il ritrito movimento
dialettico tesi-antitesi-sintesi che ha fatto la fortuna della casa produttrice
e che da sempre rappresenta un modello efficace per la realizzazione di trame
appassionanti, ma, a distanza di dieci anni dall’uscita del primo film della
fase uno, non mi ritengo più in grado di resistere ad un altro, l’ennesimo
more-of-the-same che cambia gli ingredienti ma non muta il risultato. Questo
film in particolare ha degli elementi distintivi che potrebbero renderlo unico
nel suo genere: una computer grafica strabiliante, l’introduzione di un
potenziale multiverso narrativo, un’ambientazione alternativa (sulla scia di
“Batman Begins”). Ma queste caratteristiche peculiari non bilanciano un gusto
stucchevole nella bocca e negli occhi dello spettatore, che ha ormai fatto il
callo al format dei film sulle origini e non sopporta la ripetitività di un universo
cinematografiche che si morde la coda. Non è plausibile una voglia di emozioni
nuove in presenza del medesimo schema narrativo, che ci rende consci dello
sviluppo degli eventi ore prima che questi avvengano realmente. In questo modo
viene svuotata la componente emotiva, che in un prodotto fantasy-action è
tutto.
E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che
tutti sanno del resto, riguarda una considerazione sulla qualità assoluta di
questi titoli. Con il passare degli anni infatti il MCU ha fatto passi da
gigante nella cura dei particolari, negli easter egg che regalano momenti di
pura libido e soprattutto nella messa in scena di un mondo ideale che, se non
supportata dei giusti mezzi, si sarebbe rivelata essere la cornice di una
sceneggiata sopra le righe. Doctor Strange poi raggiunge vette notevoli per
quanto riguarda la realizzazione tecnica delle varie ambientazioni che fanno da
sfondo alle vicende e la trama denota spunti d’interesse che esulano dalla
comune lotte tra bene e male, con delle sfumature variegate. Ricordo il 2008
come se fosse ieri; l’esaltazione collettiva per l’inizio di un imperdibile
percorso condiviso. Se “Doctor Strange” fosse uscito dieci anni avremmo gridato
al miracolo, un capolavoro del suo genere, la rivoluzione che il mondo dei
cinecomics stava aspettando da sempre. Ma la differenza tra il 2008 e il 2017
la fanno decine di pellicole che non hanno saputo ritagliarsi uno spazio d’originalità
accettabile, e del Dottore resterà solo qualche effetto speciale. Non siamo più
fisiologicamente in grado di stupirci per questo boccone rimasticato, che ha
ormai perso troppo del suo sapore.
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