È stato un colpo durissimo. Parlarne ora non vuol dire
aver dimenticato di farlo prima, ma aver aspettato di maturare alcune idee
costruttive, per quanto sia possibile ragionare a mente fredda sul suicidio. La
chiave di lettura della vicenda, dal nostro punto di vista, nasce dalla
convinzione errata di conoscere le persone celate dietro maschere dello show
business. Crediamo di comprendere i sentimenti di un individuo sulla base di
una sua produzione, di un suo atteggiamento, quando nella teatralità dei vari
ambiti artistici essere se stessi diventa ogni giorno più complesso.
La notizia ci ha colpiti con violenza inaudita e
subitamente ci siamo mossi per comprendere le cause del gesto. Abbiamo fornito
le più disparate argomentazioni, che tendevano tutte a convergere verso uno
stato di depressione diffuso e duraturo. È stato il divorzio con la seconda
moglie a dargli il colpo di grazia. No, è stata la morte dell’amico Chris
Cornell a spingerlo al suicidio. Neanche, sono sicuro siano stati gli stupri
subiti in gioventù. Era segnato da tempo, non ha mai superato i drammi di un’infanzia
tragica. Ecco la nostra risposta - o le nostre, a seconda dell’ipotesi a cui
scegliete di credere. Credevamo di conoscerlo in vita e abbiamo mantenuto la
stessa presunzione anche dopo la morte. Perché il cantante dei Linkin Park era
nostro, di quelli che anni fa si passavano gli AMV di Dragon Ball con il
bluetooth, di quelli che impararono per la prima volta un testo inglese a
memoria con Numb, ma Chester Bennington era solamente di Chester Bennington e
forse neanche suo.
Pochi giorni fa è uscito sul canale YouTube dei Linkin Park
il video ufficiale del singolo che dà anche il nome all’ultimo album: “One more light”. Si tratta di un tributo al frontman scomparso, un video che lo vede
protagonista tra passato recente e remoto, tra l’uomo che era e il ragazzo che
era stato. Biondo come Justin Timberlake, poi rasato. Senza le fiamme sugli
avambracci, poi con. Sorridente e scherzoso, emozionale, eppure malinconico. In
alcune immagini gioioso, in altre pensieroso, come Kutner.
Lawrence Kunter è stato uno dei più atipici membri del
team del Dr. House. Solare, energico, ingenuo, magnanimo. Eppure, nel ventesimo
episodio della quinta stagione, viene ritrovato da Foreman e Tredici riverso
sul pavimento del suo appartamento con un foro di proiettile in testa e una
pistola in mano. House non riesce a capacitarsi del gesto del collega e spende
la maggior parte del tempo in servizio a cercare una spiegazione alternativa
che contempli l’omicidio, ma nessuna delle sue ipotesi riesce a stare in piedi
per più di pochi secondi, nonostante le abilità deduttive del personaggio. House
quindi comincia a scavare negli effetti privati di Kutner per dare un senso ad
una perdita insensata, e solo infine, tra centinaia di immagini che lo ritraggono
sorridente, riesce a trovare una foto in cui il ragazzo abbassa lo sguardo,
pensando probabilmente di non essere notato. Non serve aggiungere altro: House intende
di non essere stato in grado di comprendere l’oscurità celata dentro Kutner, un’oscurità
che non nasce da un evento in particolare, ma che si sviluppa a partire da una
vita e cresce al passo con essa. Non resta che ammettere il muro del senso che
ci impedisce di arrivare fino in fondo ad una soggettività, che sia essa quella
di Kutner, che sia la nostra.
A volte la depressione, il suicidio nascono da uno stato
di cose, non da un evento che noi esterni possiamo catalogare per rendere più
comprensibile la realtà. La logicità calcolatrice fredda e ingiuriosa di chi è
spettatore lascia solo una fastidiosa scia di parole che non sono in grado di
spiegare questa realtà. A volte bisogna accettare la propria limitatezza e non
violentare la memoria collettiva per convincersi ancora di conoscere chi ormai
non è più. Possiamo solo limitarci ad onorare una grande voce in un essere
umano complesso.
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