Il secondo capitolo di Star Wars in due anni si discosta
molto dai toni e dalle atmosfere del settimo episodio. Rogue One è un
esperimento che vuole andare a tastare il terreno dell’universo espanso
creatosi attorno al brand di Greorge Lucas. Cosa è successo dopo? Cosa è
successo prima? Con un titolo fittizio la Disney ha cercato di mascherare una
sorta di capitolo 3.5 (o 3.99, se preferite) che si fonda su una singola frase presente nei titoli di
testa di “Una Nuova Speranza”. Costruire una storia convincente e senza
forzature basandosi su un singolo inciso era un’opera complessa in partenza, ma
dal punto di vista della trama Rogue One trova forse uno dei suoi punti di
forza. Ineccepibili contesto, costruzione e sviluppo se inseriti nella continuità
della saga principale. A rappresentare una debolezza per questo spin-off sono
forse i personaggi, ben congeniati, artisticamente unici, ma terribilmente
piatti nello sviluppo e nel background. I membri della spedizione sembrano
capitare per caso nelle situazione in cui si trovano, in particolare la coppia
Chirrut-Baze, e le loro motivazioni sono solo accennate. Sembrano essere mossi
dagli eventi senza esserne davvero protagonisti. Questo limite trova la sua
causa nella natura stessa del film e nella sua posizione rispetto agli eventi
narrati in episodio IV. Comunque vadano le cose c’è un epilogo scritto nei
titoli di testa del film virtualmente successivo e, nonostante questa
predestinazione sia chiara fin dall’inizio, la costruzione delle basi del film
nel primo atto sembra volta ad un approfondimento dei personaggi spalmato in
tre film. Un ritmo del genere sarebbe stato perfetto per l’inizio di una
trilogia, ma, quando ci si trova al cospetto di personaggi che si esauriranno
cinematograficamente in un solo capitolo, sia la caratterizzazione che lo
sviluppo degli stessi dovrebbe essere differente. Ci troviamo di fronte ad un
problema di concetto figlio dei tempi che corrono, siamo abituati alle saghe a
metà tra il cinema e la serialità e la stessa Disney ha ormai perso la bussola
della costruzione di un’opera singola.
Tralasciando però i personaggi, anche l’incipit narrativo
mostra delle lacune: l’atto preparatorio è costruito attraverso brevi sequenze
in pianeti lontani che cercano di presentare prima la situazione frammentata
per poi ridarle un senso generale nel momento della definitiva aggregazione dei
membri del Rogue One. Questo modo di raccontare, all’intero di un contesto non
immediato, non ha fatto altro che confondere e annoiare. Troppe location,
troppi personaggi, troppe situazioni in ballo che male si sposano con la
volontà e la necessità del film di intrattenere lo spettatore. Il tentativo di
dare una struttura complessa all’opera è ammirevole, lo scorso anno si è
sentita la necessità di svecchiare le strutture narrative classiche della
serie, ma Rogue One non convince appieno nella costruzione confusa e nella
mancanza di ritmo.
Dopo la metà però il film ingrana e comincia a montare un
crescendo di azione, pathos e soprattutto Guerre Stellari. Viene messa da parte la
costruzione per riversare in intrattenimento tutto ciò che era stato prodotto
prima, e il risultato è davvero interessante. Poche location, pochi punti morti
e un ritmo che non smette di accelerare verso un finale brillante, duro, ben
strutturato e soprattutto verso ciò che segue la fine delle avventure del Rogue
One, ossia il collegamento diretto che ci ricorda il sottotitolo del film: “A
Star Wars Story”. In queste sequenze emerge la mano del regista che ci porta
direttamente all’interno della guerriglia, ci mostra la violenza e non disdegna
la morte.
Ma oltre quei tre minuti finali, cosa resta di Star Wars?
Poco, ci troviamo di fronte all’unico capitolo cinematografico della saga che a
mio parere potrebbe essere visto da chiunque senza eccessive difficoltà. Escludendo
gli ultimi tre minuti, questo film presenta dei richiami solo secondari, di
contorno, che affascineranno e faranno saltare dalla sedia i fan più convinti,
ma che non saranno quasi mai necessari per arrivare al finale dell’opera. Gli
elementi cardine della saga come l’eterna lotta tra Jedai e Sith e le battaglie
a colpi di spade laser sono totalmente assenti. La Forza invece torna soltanto
nel personaggio di Chirrut, senza particolari spiegazioni o giustificazioni,
rappresentando prima un elemento di fan service per poi svolgere un ruolo
fondamentale in una determinata situazione. Dopo Episodio 7, additato di essere
un clone del primissimo capitolo, ci troviamo nuovamente di fronte ad un
prodotto autoreferenziale che si rifà a e fonda la sua appartenenza al brand
proprio sul quarto capitolo, lasciando intendere che quell’inizio della saga
originale è ancora la scintilla che ci lega emotivamente a questa saga.
Rogue One è quidi Star Wars, ma non è Star Wars. È un
film di guerra fantascientifica, è un film fantasy, è una storia interessante e
lontana dagli stereotipi del genere, ma non riesce ad emozionare toccando le
corde della saga storica, allontanandosi in questo anche dalla dimenticabile
trilogia prequel. Preso come film parallelo alla narrazione principale, Rogue
One vale una visione: ammalia, coinvolge, commuove. Non è un film di Star Wars,
ma un film su Star Wars. Non ha l’anima dei padri, ma in un mondo di cloni
nostalgici questo non è un male.
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