Uno dei pochi, pochissimi lati positivi dell’essere
pendolare è quello di passare una discreta parte della giornata sui mezzi. E si
sa che per il pendolare il migliore amico è il cellulare con annessi
auricolari, perché il pendolare è un animale asociale. Questo quotidiano
dondolio mi permette di ascoltare un buon numero di album nel corso dei mesi,
quelli più attesi, di artisti famosi e meno famosi, album di debutto e non. A
volte poi, si riesce perfino a scoprire qualcosa che in pochi conoscono. Ecco
alcune delle uscite più interessanti del 2016 che magari vi sono sfuggite.
Suuns – Hold/Still
Be’ in realtà questi quattro ragazzi di Montreàl hanno
una certa fama, conquistata in quasi dieci anni di ottima musica. In questo
caso Hold/Still rientra nella
categoria di quegli album notevoli – a mio avviso tra i migliori in assoluto di
quest’anno – a cui purtroppo non è stato reso il riconoscimento che gli
spettava. Il terzo album dei canadesi ha l’aspetto scarno di un qualcosa a cui
è stato tolto con minuziosa precisione tutto il superfluo, lasciando solo
l’ossatura, l’essenziale.
Da ascoltare: Instrument
Palmistry – Pagan
Pagan è quello
che succede quando la club culture inglese fa una vacanza in Giamaica. Con il
suo debutto – publicato non a caso per la Mixpak – Benjy Keating, a.k.a.
Palmistry, ha sperimentato efficacemente una dancehall minimale che cattura
immediatamente con la sua estrema semplicità, spesso nulla di più di un beat
regolare e una voce sottile, a tratti sussurrata.
Da ascoltare: Club Aso
Africaine 808 – Basar
Altro esordio felicemente inaspettato del 2016, Africaine
808 è un progetto elettronico tedesco che con lì elettronica tedesca non ha
nulla da spartire. O forse ha tutto da spartire. In perfetta sintonia con il
suo titolo, Basar esplora gli angoli
più lontani ed esotici del pianeta, ne cattura ritmi e melodie, strumenti e
voci, e li modella intorno alla buona, vecchia techno europea. Uno degli album
più variopinti dell’anno, una ventata di freschezza in un genere che
ultimamente iniziava a odorare un po’ di chiuso.
Da ascoltare: Crawfish Got Soul
Lowtide – Lowtide
Questo album potrebbe non essere uscito proprio nel 2016.
Sembra strano, ma si trovano così poche informazioni – per giunta contrastanti
– su questo gruppo Australiano, che non sono riuscito a capire se il loro album
di debutto è uscito nel 2016 o nel 2014. A prescindere da ciò rimane un
bellissimo lavoro, etereo nel suo essere shoegaze ma orecchiabile – o come
dicono gli americani, catchy – nelle sue melodie pop.
Da ascoltare: Held
Eluvium – False Readings On
Eluvium bazzica la scena ambient da parecchi anni, con
lavori decisamente buoni e atri meno, ma sempre interessanti. Quest’anno però
ha pubblicato quello che è probabilmente il suo miglior album, False Readings On, che è stato purtroppo
quasi ignorato da critica e pubblico, nonostante endorsement di band di tutto
rispetto come gli Explosions In The Sky. E nei mattini invernali, quelli un po’
malinconici, silenziosi, vuoti e colmi di pensieri, questa musica riesce
sinceramente a commuovere.
Da ascoltare: Fugue State
Not Waving – Animals
La musica in Italia nel 2016 ha la faccia di Calcutta,
Tommaso Paradiso e Niccolò Contessa. Questo per noi autoctoni almeno. Per chi
ci osserva da fuori l’Italia ha tutta un’altra forma d’onda. L’ultimo disco di
Lorenzo Senni ha come al solito ricevuto il plauso di critica e pubblico,
d’altronde è stato pubblicato dalla Warp Records che, concedetemelo, ha una
risonanza un po’ diversa da quella di Bomba Dischi. Senni non è la sola
eccellenza italiana nell’elettronica, a fargli compagnia c’è il neofita del
genere Alessio Natalizia, in arte Not Waving, che ha stupito un po’ tutti con
un album acid-techno davvero notevole.
Da ascoltare: 24
Yeti Lane – L’aurore
In questa multietnica non-classifica trova il suo spazio
anche la francia, troppo spesso snobbata – specialmente da noi cugini
d’oltralpe – per quanto riguarda la musica. A nostra discolpa possiamo dire che
non sono troppo bravi a farsi pubblicità. Gli Yeti Lane sono pressoché
sconosciuti, quasi del tutto ignorati anche dalla stampa specializzata. Ed è un
peccato, perché il loro ultimo album, L’aurore,
è un viaggio psichedelico a cui non si rimane indifferenti.
Da ascoltare: Good Word’s Gone
Xenia Rubinos – Black Terry Cat
La musica jazz fa sempre una certa fatica ad arrivare al
grande pubblico, è cosa ormai nota. Gli artisti che riescono a renderla
appetibile ad un gran numero di persone sono più unici che rari, e in genere
riescono nel loro intento facendole oltrepassare i confini di genere. Innegabilmente
l’album jazz che ha avuto più eco in questi mesi è l’ultimo lavoro di Esperanza
Spalding, Emily’s D+Evolution. Un altro album, decisamente pop, ma con spunti
jazzistici interessanti, è Black Terry
Cat della statunitense Xenia Rubinos; piacevole e ancora una volta
scarsamente considerata sorpresa della scorsa primavera.
Da ascoltare: Right?
Let’s Eat Grandma – I, Gemini
Uno dei nomi di band più inquietanti e malati di sempre
nasconde il debutto più dolce dell’anno. Dietro Let’s Eat Grandma si celano due
ragazzine inglesi, Jenny
Hollingworth e Rosa Walton, entrambe nemmeno diciottenni, che hanno
confezionato un album pop dai colori freddi e notturni. La giovane età non deve
far però presupporre superficialità o mancanza di sperimentazione, anzi. I, Gemini è un album forse fin troppo
eterogeneo nella sua mescolanza di generi e influenze, ma mantiene sempre una
sua coerenza interna.
Da ascoltare: Deep Six Textbook
Mothers – When You Walk A Long Distance You’re Tired
Ormai tutto è indie e, di fatto, nulla lo è più. Come per
il cosiddetto alternative, che non si sa più bene a cosa fosse alternativo, si
è perso il concetto di indipendenza (se mai c’è stata un’indipendenza) che
dovrebbe contraddistinguere questo genere. Per un qualche misterioso motivo
però, alcuni gruppi sembrano suonare autenticamente indie, qualunque cosa ciò
voglia dire. Tra questi ci sono i Mothers, al loro debutto con un album il cui
titolo sprizza hipsteria da ogni poro. Hipsteria su cui si chiude un occhio
quando si ascoltano pezzi come Too Small for Eyes.
Marsha Bronson
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