domenica 31 gennaio 2016

RECENSIONI DELLA SETTIMANA 25 - 31 GENNAIO


FILM: Operazione U.N.C.L.E. (2015)
Cosa guardare quando non sei a casa e non sei in possesso di una stabilissima connessione ADSL  per poter usufruire in maniera legale di servizi streaming a pagamento? Non rimane altra scelta se non quella di rivolgersi al redivivo videonoleggio di fiducia. E poi, tra un Pixels e un horror fantastico finché non lo guardi ecco che rispunta Guy Ritchie, un dei registi che ancora oggi porta avanti una personalizzazione del ruolo autoriale e una tendenza allo stile che era propria della prima e forse della seconda Hollywood, ma che oggi sembra più vicina ad un cinema di nicchia del del Vecchio Continente. Artista unico, spesso poco considerato; ma quando il secondo lungometraggio è il cult Snatch, come potersi superare? Come sostenere le aspettative? Operazione U.N.C.L.E. non riesce infine a competere con il masterpiece del regista britannico, ma tiene testa a quest’ultimo lavoro per larghi tratti.
Berlino, guerra fredda più fredda, gelida. Un agente della CIA e uno dei KGB si scontrano in una travolgente e rocambolesca fuga nel tentativo di acciuffare e ottener informazioni da una ragazza che sarebbe legata in qualche modo ad uno scienziato tedesco, ex collaboratore forzato di Hitler, presumibilmente rapito per le sue conoscenze in campo atomico. Sequenza d’apertura che da sola vale svariati prezzi del biglietto per la fantastica messa in scena molto british e per la regia fresca e mediata tra l’eccessiva dovizia di particolari dei due Sherlock Holmes e l’immediatezza innocente dei primi lavori di Ritchie. Da questo punto in poi si alternano momenti più riusciti, quelli in cui le due spie entrano effettivamente in azione, ad atri più statici e meno movimentati che si allontanano dal senso coinvolgente che segna sostanzialmente l’intera pellicola.
Peccato per un paio di scelte nell’ultima mezz’ora che avrei preferito venissero gestite in maniera diversa, anche per questioni di coerenza con il resto dell’opera. Ultima scena invece amara sul momento ma decisamente sensata in relazione a “Organizzazione U.N.C.L.E.” che cita in maniera intelligente e lascia presagire un inutile seguito che non verrà in realtà mai realizzato. VOTO: 7.5



FILM: Moneyball - L’Arte di Vincere (2011)
Altro film sportivo, che a noi americani coloniali piacciono sempre, altro film con Brad Pitt, che da quando produce anche è un po’ ovunque. Ma stavolta è diverso. È diverso il modo di rapportarsi al tema sportivo, diversa la narrazione, diversi gli intenti. Stavolta non si tratta di rivalsa sociale e non siamo in presenza di carcerati bianchi e neri, ma ci troviamo di fronte ad un film tecnico attento e preciso, incentrato sulla figura di un manager talismano balzano inverso che si ritrova a dover costruire una squadra di baseball optando per la via della parsimonia intelligente e basandosi sui numeri. Tutto ruota intorno a delle cifre, e ciò è esplicativo del tono e della scelte emotivamente mozzata dello sceneggiatore. Finalmente assistiamo ad una sequela di eventi di contorno nei quali la componente sentimentale rappresenta la cornice, o forse così ci vorrebbero far credere, alla luce del finale in cui il personaggio di Brad Pitt prende in mano la situazione e la traghetta verso una personale conclusione che non stona nel complesso ma non segue fedelmente il filone mantenute strettamente dal film fino a quel momento. Ottime le prove dei due protagonisti e interessante e coraggiosa la scelta di invertire i canoni classici del sottogenere sportivo per costruire una storia priva di grande pathos o di stucchevole melassa. VOTO: 8



FILM: St. Vincent (2015)

“Guardalo!” mi avevano detto. “C’è Bill Murray in formato Oscar” mi avevano giurato e spergiurato. Alla fine l’ho visto e, magari condizionato inconsciamente dalle dicerie dette in precedenza, sono rimasto relativamente freddo (ma stavolta non gelido) nei confronti della storia, delle interpretazioni e del film nel suo complesso. Fin dal principio ci si rende conto delle pecche tecniche di una pellicola esaltata da alcuni, ma che voleva inizialmente proporsi unicamente come commedia esistenziale, formativa e cattolica adatta a tutta la famiglia. La trama vorrebbe in qualche maniera emulare il più famoso e blasonato Gran Torino, ma né Bill Murray, per certi versi, né il regista di questo filmetto è comparabile al Biondo del grande schermo. La situazione prende però una via differente e più emotivamente toccante, almeno sulla carta. Viene sviluppata maggiormente la storia personale del protagonista, la quale smette di avere misteriosi elementi di interesse, ma appare chiara e stereotipata sotto la luce delle stelle della ribalta. Da questo momento in poi troppe situazioni, troppa confusione, troppa religiosità e perbenismo interessato. Troppa finta bontà che permea ogni scena, ogni intermezzo musicale (di quelli scadenti che non si vedevano dagli anni ’80) e il finale. Un finale terribilmente dolce, forzato e fintamente religioso con la questione della santità. Se poi a ciò si aggiunge che le scene che mi hanno strappato un sorriso abbozzato si contano sulle dita di una mano di un reduce dal Vietnam, ma di quelli che hanno lasciato un pezzo di loro nel paese delle piogge, potete comprendere il giudizio finale. VOTO: 5

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