È facile pensare che tutto il mondo sia uguale,
generalizzare e rendere tutto comprensibili agli occhi della nostra inesperta e
limitata anima, ma non è così, o almeno, così facendo si rischia di non
comprendere realtà molto lontane dalla nostra, sia geograficamente che
culturalmente. Dal punto di vista dei diritti ad esempio noi Italici possiamo
ritenerci fortunati (e anche per questo bisognerebbe onorare ogni anno con lo
giusto spirito il 25 Aprile, anziché dibattere ancora su fascismo e
antifascismo) rispetto ad altre popolazioni più oppresse, socialmente arretrate
e purtroppo abbandonate a loro stesse, al loro assente presente e futuro.
I diritti sono molti. Esiste il diritto di crescere,
quello di avere un impiego fisso, quello di esprimere la propria opinione
liberamente, quello di difendersi dalle accuse altrui in un tribunale che
faccia valere le stesse leggi per tutti, ma soprattutto esiste il diritto di
sognare. Un uomo può venire privato di tutto, ma non del diritto a sognare.
Senza tale diritto chiunque muore dentro, non ha futuro. Esiste un posto nel
mondo dove muoiono i sogni e gli uomini sono costretti a vagare come involucri
vuoti “tirando avanti lontano dai guai in attesa del giorno in cui morirai”.
Questo luogo è Ciudad Juarez, o semplicemente Juarez, città messicana assai
popolosa situata al confine con gli Stati Uniti, nonché culla degli eventi
narrati in Viva La Vida (titolo oltremodo abusato, ma pur sempre
accattivante e, in questo caso specifico, decisamente azzeccato). La graphic
novel in questione, scritta e disegnata dai vignettisti francesi Baudoin e
Troubs, narra di un viaggio fatto dai due autori nel Messico del Nord alla
scoperta di un mondo sconosciuto e incomprensibile per uomini del vecchio
continente. I due, nel loro viaggio, arrivano anche a visitare la suddetta
Juarez, città riconosciuta come la più violenta al mondo nel triennio dal 2008
al 2011 e che tuttora stanzia stabilmente tra le prime cinque. L’opera si
presenta esattamente come un reportage giornalistico che scava, con poca
retorica, nella vita magra e arida degli ultimi tra gli ultimi, di quelli che
rischiano la vita ogni giorno per un tocco di pane, di quelli che hanno perso i
loro cari e ora sono soli in mezzo a sanguinolente e spietate lotte di cartello.
I due autori hanno impostato il loro viaggio sullo scambio alla pari tra un
sogno e un disegno: ogni persona che incontrano può raccontare loro un sogno
celato per ricevere in cambio un ritratto. La potenza della china (town) che non
cesserà mai. In questo modo i due fumettisti sono riusciti a portare a casa
varie testimonianze che commuovono e restituiscono un’immagine cruda della vita
nella città messicana. Alcuni sognano la fine delle guerre tra clan, altri di
rivedere i loro cari scomparsi, altri ancora di sopravvivere ancora un giorno
sperando che domani sia migliore di ieri, anche se non è mai così. Emerge anche
il controverso rapporto che gli abitanti di CD Juarez hanno con la loro città
d’origine: alcuni vorrebbero abbandonarla senza pensarci due volte ma sono
bloccati dalle scarse finanze e dalle responsabilità che hanno assunto nel
tempo con la città stessa, altri non lascerebbero mai quell’inferno, ma
darebbero la vita senza pensarci di volte affinché la situazione cambi
finalmente in meglio.
Come lascia intendere la copertina poi, molto spazio
nella graphic novel è dedicato al mondo femminile. Sfruttamento, abusi, stupri,
violenze, ingiustizie. Il Medioevo era più civile, aperto e rispettoso nei
confronti del gentil sesso. Fortunatamente comunque l’opera si conclude con un
meraviglioso inno alla vita: nonostante tutte le difficoltà e nonostante la
coltre oscurante che annebbia il futuro di una popolazione, tutte le persone
intervistate anelano disperatamente alla vita, ad una vita ricca di sogni e
soddisfazioni, ad una vita libera.
Tutto ciò per chi? Chi ci guadagna alle spalle delle
persone che muoiono in un lago di sangue in mezzo ad una via malfamata? Da
Juarez si può vedere il confine, la frontiera con gli Stati Uniti, simbolo di
libertà e giustizia fin dai tempi delle tredici colonie, e proprio il governo a
stelle e strisce ha interesse perché le faide e i soprusi continuino in Messico,
oltre ovviamente ai cartelli che continuano la loro opera di arricchimento a
spese di molti. Pochi a spese di molti. È giusto tutto ciò? È giusto che un bambino nato a Juarez e un bambino
nato negli States, ossia a poche miglia di distanza, abbiano diritti così
diversi? È giusto che il mondo sia così diverso nell’umanità e così uguale
nell’odio razziale? Quando un neonato viene alla luce dovrebbe godere di molti
diritti, ma soprattutto di quello di sognare e di poter essere chiunque nella
vita; la libertà non va negata, va concessa, estesa. L’uomo nasce libero e fino
alla fine deve essere libero di sognare. L’uomo sogna di volare.
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