L’anno scorso abbiamo vagato con Michael Keaton nei
labirintici corridoi del St. James Theatre di New York, quest’anno strisciamo
con Leonardo DiCaprio tra le nevi del Sud Dakota del XIX secolo ma il risultato
è lo stesso: un coinvolgimento emotivo totale.
Dopo il successo di “Birdman” il regista messicano
Alejandro González Iñárritu ci fa vivere ancora una volta un’esperienza
cinematografica straordinaria. “The Revenant” è riuscito a farmi immergere
completamente fin dai primi minuti nell’atmosfera selvaggia e terribile della
frontiera americana, è stato come se per magia fossi stato teletrasportato nel
1823. Nella ormai celebre scena dell’attacco del grizzly il coinvolgimento ha
toccato l’apice ma durante tutto il film ero partecipe delle vicende come se le
stessi vivendo in prima persona. Questo è stato possibile grazie alla sapiente
regia di Iñárritu che usa la macchina da presa in modo magistrale consegnando
al pubblico una prospettiva unica dell’azione e facendolo sentire sempre “dentro”
la scena.
In “The Revenant” Iñárritu abbandona i virtuosismi
estremi di “Birdman” anche se non rinuncia ad inserire qualche long take qua e là, questi però
risultano essere più sobri rispetto ai lunghissimi piani sequenza visti nel suo
penultimo film e passano quasi inosservati nella frenesia dell’azione. Tenendo
la macchina da presa spesso vicinissima al viso dei personaggi Iñárritu ci fa
percepire le sensazioni che questi provano in modo molto intenso e deciso. In
una scena la cinepresa si avvicina al volto di DiCaprio così tanto che il
respiro dell’attore finisce con l’appannare la lente. Un aspetto che mi ha incuriosito
parecchio è stato proprio la scelta di far sporcare spesso la lente della macchina
da presa con acqua, neve, sangue, fango
e via dicendo. Un’idea interessante che contribuisce ancora meglio all’immersione
del pubblico nel film.
Il direttore della fotografia Emmanuel Lubezki (“Children
of Men”, “Gravity”) ci consegna delle inquadrature da pelle d’oca. La fotografia
meravigliosa di “The Revenant” è ancor più stupefacente considerando la scelta
temeraria di usare solo luce naturale. Lubezki ha dichiarato in una recente
intervista a Variety: “Volevamo fare un film che fosse coinvolgente e
viscerale. L'idea di utilizzare la luce naturale ci è venuta perché volevamo
che il pubblico percepisse il tutto come se stesse succedendo davvero” E direi
che ci sono riusciti eccome!
Sarebbe poi un delitto non parlare dell’ interpretazione
straordinaria di Leonardo DiCaprio in questo film. Una interpretazione estremamente
fisica, con pochissime parole. Una
performance intensa e sofferta resa ancora più difficile dalla scelta del
regista di usare un approccio da purista assoluto. La scelta di girare il film
in location estreme con temperature che scendevano sotto i -25 gradi ha
sicuramente condizionato sia DiCaprio che i gli altri attori che hanno dovuto
fare i conti con sfide al limite delle loro capacità. Lo stesso DiCaprio ha definito The Revenant come il
film più difficile a cui abbia mai lavorato. Ma il risultato è veramente
notevole: un film crudo, forte, che colpisce lo spettatore e non può lasciarlo
indifferente.
La caratteristica principale che accomuna “Birdman” e “The
Revenant” come ho detto è l’immersione totale del pubblico. Entrambi i film ipnotizzano
lo spettatore e lo tengono incollato allo schermo per tutta la loro durata. Le
imperfezioni di Birdman sono riuscito a notarle solo a freddo riguardando il
film dopo qualche mese, penso che sarà così anche con “The Revenant” dato che
anch’esso è un film che rende impossibile qualsiasi giudizio critico dopo la
prima visione per via del livello di coinvolgimento che fa raggiungere allo
spettatore.
Antonio Margheriti
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