FILM: La Grande Scommessa (2015)
La Grande Scommessa in ogni senso. Questo film si pone
infatti come un’inusuale pellicola su un tema inusuale, girata in maniera
decisamente inusuale. Ciò si potrebbe tradurre come la genesi di un prodotto
qualitativamente interessante ma lontano anni luce dal gusto comune, e invece,
a quanto parrebbe, l’ultima produzione di Brad Pitt (presente anche come attore) ha fatto breccia nel cuore
dei più puntigliosi Americani. Questo successo potrebbe essere legato al
soggetto molto patriottico del film, ma credo anche lo stile, la qualità e le
scelte narrative abbiano influenzato non poco il responso dell’opinione
pubblica. The Big Short è quindi ciò che mi aspettavo di vedere? Non esattamente.
Il film mostra fin da subito degli evidenti punti a sfavore che rischiano di
ammorbare lo spettatore meno aperto a opere incentrate principalmente su
meccaniche finanziarie. I tecnicismi infatti portano la pellicola ad un livello
di specificità difficilmente raggiungibile se non in un frangente specifico di
nicchia. Immagino che gli studiosi e gli appassionati della materia abbiano
trovato panifici alle sei di mattina. Altro punto a sfavore è la complessità,
voluta ma eccessiva, dell’intreccio tra i vari personaggi. Intreccio che spesso
compie anche dei salti temporali decisamente non decodificabili se non
attraverso le didascalie.
D’altra parte però il film propone un tono generale
completamente distaccato e freddo riguardo argomenti molto vicini alla
sensibilità del popolo americano. Questa scelta rappresenta forse il più grande
punto a favore dell’intero prodotto, conferendo quell’aura di unicità e novità
che spesso viene a mancare quando si trattano (o, in questo caso, sfiorano)
temi così nazionalpopolari. Ottima anche la scelta di virare verso il personale
nel finale e fantastico il discorso conclusivo molto irriverente e accusatorio
del personaggio di Ryan Gosling. Ottime prove attoriali e scelte registiche
alquanto bizzarre, come la rottura della quarta parete, aumentano l’interresse
verso un film quantomeno “diverso”. VOTO: 8
FILM: L’Amore Non Va in Vacanza (2006)
Il film che lasciai fuori da “I Miei Film Di Natale”
ormai quasi un mese fa. Lo esclusi al momento della lista dei migliori cinque
titolo perché in questo film, a differenza di Love Actually, il Natale non c’è
e non si vede. È poco più di un sfondo statico, il perché di un incipit che va
sviluppando una storia d’amore incrociato separata e distaccata dalla festività
specifica. Ma questo non lo esclude dalle Recensioni della Settimana. Indubbiamente
ci troviamo di fronte ad un film usa e getta che lascerà poco o nulla nelle
menti degli spettatori. La forza trainante è rappresentata dai quattro
protagonisti: quattro affermati attori che sembrano perfettamente calati nella
parte. Sembra quasi che i loro ruoli siano stati scritti sulla base delle loro
stesse persone. Jack Black in particolare convince e sembra essere davvero a
suo agio nella parte.
Il problema fondamentale è però la gestione delle
tempistiche che fa sembrare il film troppo lontano dalla realtà rispetto a
quanto avrebbe voluto. A tratti ci sembra che siano passati mesi, a tratti
minuti, ma non ci si raccapezza mai come si dovrebbe e il risultato è una
matassa confusa che avrebbe richiesto almeno un’altra mezz’ora per essere
sbrogliata. Altra appunto da fare è quello relativo al vecchio Eli Wallach,
protagonista di una storia che da sola avrebbe potuto sorreggere una
sceneggiatura intera molto più accattivante e coinvolgente di quella de “L’Amore
Non Va in Vacanza”, ma tant’è. VOTO: 6
FILM: Il Nome del Figlio (2014)
E qui la gente ci casca. “Il Nome del Figlio”, come molti
pensano erroneamente, non è un remake del film francese “Cena tra Amici”, ma
una trasposizione nostrana dell’omonima pièce teatrale. Chi di voi si
stupirebbe della sensazione di Deja Vù che lascia la visione di un “Natale in
Casa Cupiello” realizzato da una compagnia amatoriale? Detto ciò, il film
nostrano è stata senza dubbio una delle sorprese più interessanti di questi
ultimi mesi. Una commistione di dialoghi tesi e propriamente teatrali, ottime
prove di recitazione e quel pizzico di nostalgia che non guasta mai. Archibugi
riesce inoltre ad inserire una componente storiografica molto velata ed un’altra
politica accesa ben più spiccata e riconoscibile. Peccato per qualche scena
ambientata nel passato leggermente sottotono rispetto alle sequenze realizzate
nella casa di Lo Cascio e della Golino, forse perché non riprese direttamente
dall’opera teatrale. E quindi quale sarà il nome del figlio, perché tutto
questo scalpore e cosa si nasconde dietro le ombre del passato dei protagonisti?
A voi le risposte. Intanto io riguardo e mi perdo in questa meravigliosa sequenza sulle note
di quel ragazzino di Bologna che profetizzava le vite in Piazza Grande: Telefonami travent’anni. VOTO: 8
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