Lo slittamento delle età ha provocato un ritardo
temporale nello sviluppo dei nuovi cittadini. Lo scorso secolo, contraddistinto
dalle due guerre mondiali, aveva avvicinato una gioventù ancora adolescente al
mondo degli adulti, al lavoro e all’autososotentamento. Questo modello era
rimasto in vigore anche in un periodo di ripresa economica in cui si era portati a vedere
nei ragazzi una fonte di manovalanza a basso costo. Ciò si traduceva, nello
specifico, nella possibilità dei giovani di emanciparsi dalla famiglia d’origine
- seppure i rapporti familiari rimanevano certamente più stretti rispetto a
quelli attuali - e all’emancipazione seguiva necessariamente un’assunzione di responsabilità
per la propria persona, il proprio futuro. Una responsabilità sociale che
richiedeva a gran voce un interessamento per le problematiche comuni, una
forma, talvolta involontaria, di partecipazione al dibattito sociale.
Oggi questo modello ha lasciato il posto ad un
allungamento spropositato dei tempi, viziato dalla difficoltà dell’ingresso nel
mondo del lavoro. Viviamo una gioventù dilatata e tendiamo ad avvicinarci tardi
al sostrato adulto della società. Gli uomini di domani sono quindi eterni
bambini che non smettono di crogiolarsi nell’infinità della gioventù umana, e
ciò potrebbe alla lunga rappresentare un problema, nel caso in cui il dibattito
politico si limitasse ad una cerchia ristretta di persone, andando contro il
principio proprio della democrazia. Saremo in grado di far valere le nostre
ragione quando, già troppo adulti, tenteremo di ritagliarci il nostro posto nel
mondo?
Diventare grandi significa anche allentare il cappio al
collo del cordone ombelicale dei genitori per essere responsabili delle proprie
azioni, dei successi e soprattutto delle sconfitte, dalle quali passa realmente
lo sviluppo umano del soggetto. Diventare grandi significa evolvere un rapporto
di dipendenza da altri in modo da poter rappresentare a propria volta l’appoggio
di un’altra vita. In quest’ottica, la possibilità che tale forma di
emancipazione sociale avvenga appare sempre più risicata. Avviandoci verso un
futuro di insicurezza e solitudine.
Ma pochi giorni fa qualcosa è cambiato.
Io e mio fratello eravamo soli in casa. Io ventun anni,
lui diciotto. Ad un certo punto, mentre preparavamo il pranzo, ci siamo accorti
di una lucertola per le scale che portano alle camere che Shin Godzilla pare
Prezzemolo. E allora PANICO!
“Chiama Papà!”
“Ma quello sta a un’ora di macchina da qua, è andato a
mangiare fuori”
“E quindi?”
“E quindi dobbiamo toglierla noi”
“Nono, fallo tu, io sto cucinando, lo vedi che sto
cucinando?! Non posso proprio toglierla io”
E allora, sprezzante del pericolo, ho afferrato il
coraggio a due mani, ho riflettuto un po’ sul da farsi e ho preso due bicchieri
di plastica per rinchiudere la bestia e gettarla in giardino. Mi sono
avvicinato cauto all’essere ignaro e ho cominciato ad intrappolarlo in modo che
non potesse far altro che lanciarsi nel bicchiere, nella mia trappola mortale. Ma
nulla. Perché in tutto questo ho dimenticato di dire che la lucertola era
appena nata, sarà stata lunga 3/4 centimetri compresa di coda, e faceva anche
fatica a camminare. Quindi rinchiuderla in un bicchiere di plastica, incastrandola
nell’angolo formato dall’incontro di due scalini non era proprio la migliore
delle idee. Eppure, piegando appena il bicchiere sono riuscito a raccoglierla. Poi,
con invidiabile virilità, ho gridato a mio fratello - che intanto fingeva di
essere impegnato ai fornelli - di aprire la porta di casa. Sono uscito con
rapidità olimpica e ho scagliato con tutta la mia forza i due bicchieri chiusi
a maracas verso il giardino, proprio mentre l’essere intrappolato sembrava aver
riacquisito l’equilibrio necessario a rovesciare il mio piano. Quindi, con la
stessa celerità di prima, sono tornato in casa, sbattendo la porta alle mie
spalle.
Sono stato io. Io ho salvato la casa, io ho sbrogliato la
matassa. Io sono diventato grande, a ventun anni. In questo momento, superata l’enfasi
iniziale, sento davvero di aver compiuto un grande passo verso l’emancipazione
dal mondo della dipendenza umana giovanile, verso la responsabilità che ci terrorizza
e ci ammalia. Ora sento che è arrivato il momento di essere la roccia di una
nuova vita. È arrivato il momento di avere un figlio.
Grazie mamma, grazie papà, da qui vado da solo.
In fin dei conti è semplice, l’essere rivela la sua essenza
nel momento della fine. E realizzare la finitezza del tutto apre alla
responsabilità di una vita piena. Basta avere la possibilità di crescere.
La finitezza è stata una lucertola.
Che non sapeva camminare.
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