Lo scorso anno, di questi tempi, ci trovavamo a
commentare le nomination ai David di Donatello 2016.
Perfetti
sconosciuti di P. Genovese
Youth - La
giovinezza di P. Sorrentino
Il Racconto dei
racconti - Tale of Tales di M. Garrone
Fuocoammare di
G. Rosi
Non essere cattivo
di C. Caligari
Queste le nomination per il miglior film, con l’esclusione
eccellente de "Lo chiamavano Jeeg Robot" di Mainetti - relegato alla sezione “Opera
prima”. Avevamo la raffinata e intelligente commedia corale di stampo francese,
il simbolismo posato di Sorrentino, l’opera di genere internazionale di
Garrone, il documentario crudo dedicato ai naufraghi e agli abitanti di
Lampedusa e l’opera ultima del compianto Caligari - che, a mio parere, avrebbe
meritato la statuetta ad occhi chiusi.
Era stata, quella stagione 2015/2016, la stagione della
svolta, il ritorno in grande stile del cinema italiano, ancora in grado di
produrre opere originali e prodotti di genere, slegati finalmente dalla
consueta, consumata, inflazionata storia di provincia, il dramedy all’italiana
in cui ridiamo delle disgrazie e soffriamo la quotidianità. Era stata una
scintilla, quella stagione cinematografica, e aveva acceso in tutti gli adetti
ai lavori, negli appassionati e nei distratti una speranza per un futuro
differente, che guardasse anche al mercato estero per rilanciare finalmente l’immagine
del cinema nostrano, ancora legata alla commedia del dopoguerra e a qualche
testa calda goescrazy agli oscar.
È trascorso ormai un anno, lo scorso 21 febbraio sono
stati resi noti i nomi dei candidati al miglior film 2017. Come è proseguita la
rivoluzione sottotraccia del nostro gusto antiquato?
Fai bei sogni di M. Bellocchio
Fiore di C. Giovannesi
Indivisibili di E. De Angelis
La pazza gioia di P. Virzì
Veloce come il vento di M. Rovere
Fiore di C. Giovannesi
Indivisibili di E. De Angelis
La pazza gioia di P. Virzì
Veloce come il vento di M. Rovere
Il
livello superiore della scorsa edizione ha fatto un passo indietro per lasciare
il posto ad una cinquina molto più vicina agli standard classici del premio. Ad
eccezione dello spericolato film sulle corse d’auto diretto da Matteo Rovere,
ci troviamo di fronte ad una serie di film molto “italiani”, per tematica,
costruzione dell’opera e ambientazione. Manca totalmente il film di genere,
manca ciò che aveva reso grande la nostra industria cinematografica negli anni ’70.
Manca un’idea innovativa che possa guardare al futuro, al mercato estero, al
rilancio di un settore morente. Manca tutto ciò, e l’assenza si fa ancora più
pesate, se confrontata all’invidiabile presenza dirompete dell’edizione 2016.
Anche
per questa edizione, come per la precedente, spicca un’esclusione eccellente
nella cinquina dei candidati, si tratta di "Mine", dell’azzardo dei Fabii
nazionali, Resinaro e Guaglione, che, coprodotti dagli States e dalla Spagna,
hanno avuto il coraggio di rischiare e di mettere in gioco una storia al di là
delle nostre convenzioni nazionali. Un soldato su una mina. Pochi attori, molte
idee valide, sia registiche che di sceneggiatura. Anche quest’anno la sorpresa
è stata relegata a miglior opera d’esordio, nonostante la qualità della
pellicola e il rumore che un film italiano del genere e di genere ha prodotto
all’uscita.
Siamo
retrocessi, ancora. Lo slancio di una grande stagione potrebbe essere solamente
un fuoco di paglia per un paese in cui tutto sa di case abitate da sempre e
nulla cambia davvero.
Abbiate
il coraggio di rischiare. Abbiate soprattutto il coraggio di credere nel
rischio. Abbiate più Smetto quando voglio e meno Estati Addosso (miglior
canzone annunciata).
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