Lo so, vi aspettate che abbia da dire qualcosa su Sanremo
ma ahimè rimarrete delusi perché Sanremo non l’ho proprio guardato. A dire il
vero ho acceso la tv la sera della finale, c’erano Elio e le Storie Tese
vestiti da Kiss. Ho guardato l’esibizione e ho spento, fiducioso che sarebbe
stato impossibile durante la serata superare così alte vette di epicità. Al di
là di quel piccolo capolavoro però non ho visto altro, non ho ancora nemmeno
sentito le canzoni in gara, e non perché “Sanremo fa schifo, fanno musica di
m***a, ecc. ecc.” (che poi chi è che guarda Sanremo per le canzoni?) ma perché
sono in sessione d’esami e ho tante cose a cui pensare, ad esempio scrivere
qualcosa per questa rubrica. Non vi parlo nemmeno dei Grammy, e stavolta per un
motivo molto più serio: i Grammy fanno schifo. E fanno schifo perché vogliono
farlo, è una scelta ben precisa: fare qualcosa che piaccia a quella fetta di
pubblico che segue e dà importanza ai Grammy. Autoerotismo insomma. Per i
cinque pezzi di oggi ho preso spunto da questi due eventi che, per caso o per
scelta, non ho seguito, e vi propongo qualche artista italiano e qualche
artista che meriterebbe di essere valorizzato ma non lo sarà. Ah e c’è anche un
grande ritorno. Buon ascolto!
Chi è Edo Brenneke? Non lo so bene nemmeno io, è
difficile trovare informazioni perfino sull’onnipotente internet. Questo per
darvi l’idea di quanto poco sia considerata, al di fuori di certi ambienti, la
scena emergente italiana. Il che è un vero peccato perché questo Brenneke è in
gamba e i suoi (pochi) lavori, un solo EP eponimo fino ad ora, sono decisamente
interessanti. Quest’anno dovrebbe uscire il suo album d’esordio vero e proprio,
Vademecum Del Perfetto Me, quindi vi consiglio di tenere le vostre orecchie ben
ritte e ascoltare il singolo Le Cose Lucenti.
Lui forse – ma solo forse – è leggermente più noto, o
quantomeno il fatto che sia poco conosciuto al grande pubblico è giustificabile
con il suo essere molto di nicchia, come si suol dire. Lo stile di questo
cantautore partenopeo è difficile da inserire all’intero di qualche genere o
stile in particolare, non è etichettabile, e ciò va tutto a suo favore. Non
essendo in grado di spiegarvi a parole com’è la sua musica non mi resta di
farvela sentire. Superman è uno dei singoli del suo ultimo album, Giovanni
Truppi. La fantasia manca nei nomi ma non nelle note, e ancor meno nei video
come vedrete. Ah, se siete piccini non guardatelo il video, che poi mi
sgridano.
Per quanto riguarda invece quegli artisti che avrebbero
meritato più considerazione ma, ahimé, non l’hanno avuta, ho scelto due album
usciti nell’anno appena trascorso. Il primo è Painted Shut del gruppo
indie-folk Hop Along. Gli Hop Along in realtà avevano già pubblicato un album
qualche anno fa, Get Disowned, anche questo notevolissimo e totalmente ignorato
da critica e pubblico. Con questo nuovo lavoro hanno confermato le loro
potenzialità, nonostante la scarsa considerazione che hanno ottenuto. Era da un
po’ che ne volevo parlare quindi eccolo qui, ascoltatevelo per piacere.
Il secondo è Love Songs For Robots, di Patrick Watson.
Anche questo uscito nel 2015, forse leggermente più considerato, ma presto e
ingiustamente caduto nell’oblio. Non è un disco perfetto ma contiene molti
spunti e più di qualche pezzo particolarmente riuscito, sarebbe un peccato
perdervelo. Non fatelo.
Fianalmente rieccolo. Ho scoperto James Blake
relativamente tardi, quando uscì Overgrown, e ci ho messo un po’ ad
apprezzarlo, non è musica semplice anche se allo stesso tempo molto immediata.
Come spesso accade ciò che a primo acchito mi lascia perplesso finisce col
coinvolgermi molto di più di tutto il resto. Lo so, è strano, ma forse non così
tanto. In tutti i modi, così è stato con Blake e come potete immaginare stavo
attendendo sue nuove da tempo con trepidazione. Che dire, sono stato
accontentato: Modern Soul, primo singolo del suo prossimo album sembra proprio
confermare le doti di quell’ormai non più ragazzino che ha messo insieme
Dubstep e R&B come pochi avrebbero saputo fare.
Marsha Bronson
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