domenica 7 febbraio 2016

HIS MAJESTIC GRACE

Come sarebbe andato il mondo se Jeff non avesse deciso di fare quel tuffo in quella notte di maggio? Cosa sarebbe oggi la musica se la vita non avesse preso la nostra direzione? Sarebbe stato accantonato dopo poco tempo dai critici della vita degli altri con la scusa più banale ancora del cognome del ragazzo o avrebbe col tempo oscurato anche la folta chioma di un padre dall’ombra ingombrante? Questo non ci è dato saperlo, ma ciò che ci rimane è un semplice disco che potrebbe sembrare portatore di un nome di ragazza, ma che in realtà rappresenta un piano superiore, l’oltrenatura che permea l’intero globo e lega le anime dei puntini che, insaziabili e instabili, muovono e s’agitano senza meta e molto assetati. Grace è Grazia, Grace è spirito, è la più profonda convinzione che mosse Jeff Buckley a comporre quest’opera attingendo anche da fonti esterne ed estranee alla propria penna, ed è anche l’atmosfera che genera ad ogni ascolto, dal primo all’ultimo di una vita, dalla nascita fino al tuffo nel nostro fiume più buio o solare; la luce dipende dalla Grazia.
Ogni nota, ogni strofa è pregna di amore e sofferenza, di fede instancabile e di forsennata ricerca. Ogni chitarra strazia e accompagna, ogni piano rompe il silenzio gelido di una credenza sopita e velata. Una per tutte: vita. quest’opera è vita di un uomo convinto di credere o di voler credere, sfumature di moti distinti eppure confusi. Grace accompagna l’ascoltatore in un percorso sdrucciolevole che frana ad ogni passo e che si fortifica alle spalle, lungo la via del nulla, ma che illumina ogni passo di più la mente di uno stanco e sofferente  camminatore.


L’opera del Buckley minore alterna momenti di terribile durezza ad altri consolatori e patristici (il passaggio diretto dal dolce e religioso falsetto di “Corpus Christi Carol” alla tendenza rock anni ‘90 della chitarra di “Eternal Life” ne è esempio lampante); Jeff padre-madre tenta di mettere in musica una crescita spirituale che gli conferiva purezza di sguardo e di parola. Ma parlare della musica in modo tecnico sarebbe una storpiatura immane, analizzare allo stesso modo Grace e altri lavori, seppur dello stesso genere, rappresenterebbe una preclusione significativa per la comprensione di un’opera superiore e lontana da modelli strutturati in maniera conveniente. In questo caso nulla è conveniente, nulla sembra essere posto in una tal posizione nel tentativo di compiacere l’ascoltatore, ma l’intera composizione sembra sintesi di anima e arte, trasposizione perfetta e filtrata dallo spirito stesso per raggiungere una forma definitiva e completa nel complesso. Parlare delle canzoni sarebbe dunque superfluo; elogiare la grazie di Grace, la bellezza intrinseca di “So Real”, la commozione di “Last Goodbye” e la dolce purezza di “Lover, You Should’ve Come Over” sarebbe inutile, ma un brano svetta ancora oggi tra gli altri e non menzionarlo in maniera particolare potrebbe essere delittuoso.


Hallelujah” non è solo un pezzo, un susseguirsi di note, è un grido in poesia, un’irraggiungibile interpretazione di un brano maestoso e superiore. Hallelujah non è un canto, non una parola, un’esclamazione, un ritornello convincente, ma la storia di un genere, quello umano, che da sempre ricerca la verità, ricerca risposte certe a domande dubbiose o risposte confuse a domande fondanti, da sempre ricerca Dio in un mondo che non lascia spazio alla Grazia della fede, che non crede di poter credere che il genere umano possa infine trovare quello che cerca, e quello che cerca si allontana sempre più. Un genere umano che cerca, ricerca, ma intanto vive e ama e soffre e patisce e sopporta e uccide e sottera e ama di più. E l’amore non è una marcia trionfale, ma un freddo e grave Hallelujah. E, come Agostino, Jeff indica con dito insicuro la strada verso una Grazia che possa condurre l’uomo a sopravvivere nella gioia questa terra sconfitta nell’orgoglio del santo. Hallelujah rivive momenti di un passato che immaginiamo fu e illumina un futuro ombroso che immaginiamo mai sarà. Non è il canto di ricerca e forse neanche di liberazione, che spesso si crede a causa di interpretazioni controverse e contrastanti, ma un canto di tensione infinita alle porte di una quiete divina che s’adombra nella memoria perduta di chi non vuol credere di credere. Hallelujah è la nostra storia titubante, è ognuno di noi, le nostre storie spirituali. Ogni respiro che prendiamo è Hallelujah. E ascoltare quest’ultimo respiro di Jeff, tra malinconia e dispiacere per una perdita insensata che ha incensato il mito che sarebbe stato in ogni caso, purifica, commuove e rinvigorisce l’uomo adagiato nell’anfratto della quiete stanca e ignorante. Lo sorregge e lo spinge verso mete dimenticate. La sua maestosa Grace, ogni tanto, fa venir voglia di credere.

Well, maybe there's a god above 
But all i've ever learned from love 
Was how to shoot somebody who outdrew you 
It's not a cry that you hear at night 
It's not somebody who's seen the light 
It's a cold and it's a broken hallelujah


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