La società odierna è ingombrante e non si cura di
invadere il privato con prepotente ed ostinato condizionamento. Ci ritroviamo
spesso in situazioni in cui, con un minimo di riflessione più approfondita, ci
accorgeremmo di quanto in realtà le nostre azioni siano preindirizzate sui
binari certi della convenzione comune, della morale e del modello predominante.
Un modello che arraffa spazio alla luce della scena, fagocitando anche ciò che
consideravamo valori intrinseci dell’essere essere umano, la sfera privata e
indubitabilmente nostra degli affetti. Una società che uniforma, appiattisce e uccide
nell’indifferenza della noncuranza riconosciuta e nella standardizzazione forzata
la componente personalistica di ognuno di noi, andando inevitabilmente a porre
delle limitazioni a ciò che di più caro l’uomo ha: la libertà. Libertà che
conferisce implicitamente identità.
Prendiamo per un momento questo inquietante
e bigio quadro orwelliano in cui l’uomo si priva della libertà nell’ambito
affettivo per far fronte alle esigenze di una società esclusiva ed escludente,
accelerata e discriminatoria, e proviamo a portarlo all’eccesso. Proviamo poi a
fondere quest’eccesso con un sistema simildittatoriale che strizza un occhio al
Secolo Breve e un altro alla crisi del capitalismo di stampo statunitense e
amalgamiamo il tutto con un pizzico di fantascienza velata e notevole abilità
registica. Ecco come ottenere The Lobster, film angloellenico nato dalla
fantasia distopica e leggiadramente provocatoria di Yorgos
Lanthimos. La pellicola, premiata anche all’ultima edizione del Festival
di Cannes, è ambientata in un futuro vicino e degenerato, o in un presente alternativo
rispetto al nostro, in cui il potere dell’opinione comune ha preso il
sopravvento sulle istituzioni e le leggi hanno cominciato ad invadere i
sentimenti e lo stile di vita dell’uomo nel privato. In questo contesto
oppressivo, i cittadini sono costretti, secondo la costituzione in vigore, ad
avere costantemente un partner; pena la fantasiosa e spregevole trasformazione
in un animale scelto dalla vittima della metamorfosi cruenta. La vicenda prende
piede quando il protagonista, Colin Farrell, viene lasciato dalla moglie e si
ritrova a rientrare nel progetto di riaccoppiamento forzato voluto dal governo,
ossia un periodo di permanenza in un’apposita struttura con l’obiettivo di
trovare un nuovo partner ed evitare così la trasformazione nell’animale
prescelto, per Farrell un’aragosta appunto. Il tempo concesso ai malcapitati
uomini soli consiste in appena quarantacinque giorni. Quarantacinque notti per
trovare quella che dovrebbe essere l’anima gemella, secondo la direzione della
famosa struttura riabilitativa, ma che troppo spesso si trasforma nel rimpiazzo
salvifico necessario alla sopravvivenza di due perfetti e infelici estranei; il
tutto per la sola necessità di ostentare poi con sorriso farlocco una presunta
unità d’intenti, una felicità mancata nell’oppressione della libertà mancante. Il
protagonista si troverà quindi a fare i conti con diverse donne, ma nessuna
sembra essere davvero quella giusta per un animo quieto che introspettivamente
attende e trema, rispettando il prossimo e continuando a nutrire una flebile
speranza nella felicità concepita nella possibilità della libertà negata. Ma il
tempo scorre e la stanza cupa della trasformazione crostacea incombe sull’ombra
del solitario cercatore d’oro raro.
L’intero film si presenta come una forte critica di
costume, estremizzando all’eccesso e fondendo anime aspre differenti per
riuscire a colpire più elementi, senza necessariamente dilungarsi in processi
direttamente inutili. L’obiettivo primario di Lanthimos è la nostra società,
fortemente convinta di perseverare nel giusto di ciò che non va al di là di un
semplice modello interpretativo della realtà circostante. I legislatori
falsulli del film siamo noi, è la nostra società che non si cura, o almeno non
lo fa più, della sostanza che mantiene viva la fiamma della speranza dell’anima,
ma solo della forma, perché questa si conformi e risponda ai nostri standard. Siamo
noi che ci annulliamo a vicenda continuando a credere alle apparenze,
livellandoci nel basso della morte dell’individuale felicità. E in questo
concorso di colpe impersoniamo l’immenso spirito di una civiltà assolutista che
esclude chi si differenzia, impersoniamo la legge e portiamo sulla carta della
mente di ciascuno ciò che non sussiste per prove gnoseologiche. Una società che
pubblicizza il privato e privatizza il pubblico.
La critica dell’autore non si ferma però solo a questo
aspetto ossessivo e violento della ricerca di somiglianza nella cultura contemporanea,
ma non manca di colpire anche la discriminazione sessuale, elemento degenerato,
figlio della stessa mancanza di apertura nei confronti dei modelli di vita
altrui. Emblematica la scena iniziale all’interno del luogo di cura in cui
viene chiesto al protagonista di specificare il suo orientamento sessuale nella
richiesta di ammissione al programma di risanamento della persona abbandonata. A
quel punto Farrell è preso dai dubbi per un'esperienza omosessuale avuta ai tempi
del college e chiede la possibilità di selezionare entrambi gli orientamenti
(bisessualità), ma ciò gli viene negato. La società ha bisogno di saperti nel
privato e necessita assolutamente che tu prenda una decisione netta,
indipendentemente che questa sia consapevole, ragionata e volta al
raggiungimento del benessere. La società vive della sommaria approssimazione
dell’individuo, e quando questa forma mentis prende il sopravvento sulla ragion
pura della libertà morale, si ha l’ingrandimento schiacciante della sfera
pubblica che rompe gli argini e ingloba il privato in un unico grande
annullamento collettivo, operato dagli stessi annullatori. Un futuro distorto
nel terrore dell’aragosta che in molte situazioni si materializza nel reale.
Nel giorno degli innamorati, la domanda non è “Hai la
ragazza?” o “Quante volte fai sesso?”, ma “Sei Felice?”.
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