Nella decennale esperienza del MCU dobbiamo collocare nella
gusta posizione il secondo capitolo dedicato all’uomo formica: si tratta senza
dubbio di un Marvel minore, e la data d’uscita in pieno periodo estivo si trova
in continuità con la natura stessa del film. Allora dobbiamo valutare
diversamente il tipo d’intrattenimento cercato e voluto per Infinity War
rispetto all’immediatezza di una commedia con poche pretese come Antman and the
Wasp. Proprio per questo la pellicola di Payton Reed arriva nel momento
opportuno a smorzare i toni, a variegare l’offerta e ad allungare i tempi
d’attesa per il vero evento dell’universo Marvel: la resa dei conti con Thanos
che tutti attendiamo dopo la disfatta totale di Avengers 3. Ma le intenzioni
propizie non oscurano una resa altalenante delle idee degli sceneggiatori e
alcune cadute che minano la riuscita della pellicola. La leggerezza di Antman 2
tende spesso alla frivolezza e il valore aggiunto di un’opera “tattica” rischia
spesso di tramutarsi nella sua debolezza.
La domanda è: quando è Antman and the Wasp?
Per l’intera durata della pellicola, memori della totalità
dell’avvento di Thanos, ci si interroga sulla collocazione temporale delle
nuove avventure di Scott Lang per non ottenere una risposta soddisfacente, o almeno
non prima della prima scena post-credit, che lascia comunque perplessi per le
modalità e la scelta fatta, efficace, sì, ma anche infelice. Antman è rimasto
il solito antieroe sopra le righe, collocato in un contesto che gli calza a
pennello. E in questo sott’universo rientrano alla perfezione anche i personaggi
secondari e le situazioni che vengono a crearsi con la tuta del protagonista.
Quindi, se riguardo la figura del personaggio interpretato da Paul Rudd ci sono
poche variazioni rispetto al primo capitolo, è sull’intreccio che dobbiamo
concentrarci per analizzare l’opera. E l’intreccio prende piede da una
soluzione in sé originale, potenzialmente entusiasmante, che tocca gli angoli
oscuri del mondo quantico per poi ridursi ad una scaramuccia tra pochi sgherri,
una villain mal sfruttata e un deus ex machina imbarazzante per la sua
sfacciata semplicità (come imparai a salvare capra e cavoli e ad amare la bomba). Quando tende a perdersi alla ricerca della risata facile,
il film mostra la sua vera natura caciarona; quando invece lo spirito della
pellicola tocca un intreccio potenzialmente dignitoso si sfora nella
superficialità, e sono evidenti i punti esatti in cui gli sceneggiatori hanno
volutamente cercato di far primeggiare la comicità, talvolta forzata, sullo
sviluppo di un’opera più riuscita. La superficialità quindi regna sovrana e il
giudizio del pubblico resta certamente influenzato dalla voglia e dalla capacità
di soffermarsi ad un livello basico nella visione di un film. Per questo motivo
ha senso la scelta di collocare l’uscita del film nel periodo estivo, per
andare in contro alla minori pretese del pubblico vacanziero, in grado di
godere anche della semplice superficie.
Se la superficie tradisce alcune falle narrative, la forma
dell’opera dà libero sfogo alla creatività del regista. Il gioco di forme garantisce
un’azione mai banale, fresca e divertente che si rivela essere il cuore della
pellicola. Talvolta le sequenze dialogate sembrano essere dei raccordi tra i
momenti topici in cui i protagonisti si rimpiccioliscono e si ingrandiscono a
piacimento (o quasi), e lì Antman and the Wasp torna ad avere un carattere
proprio, torna a proporsi come un’alternativa al modello classico dell’azione
da cinecomic.
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