Con un terzo episodio al cardiopalma, anche questa quarta
stagione della serie britannica si è conclusa, lasciando aperte alcune piste
minori, ma chiudendo sommariamente ogni filone narrativo aperto. Riportando a
grandi linea la situazione della strana coppia Sherlock-John ad una condizione
di equilibrio, come avevamo imparato ad apprezzarla nelle prime due stagioni,
prima cioè della morte apparente di Sherlock e dell’arrivo di Mary.
Obiettivamente questo “Problema Finale”, se analizzato
separatamente dal resto della serie, potrebbe sembrare esagerato in alcuni
specifici frangenti, qualcosa che ormai travalica troppo le novelle di Sir
Arthur Conan Doyle. Inserito invece nel contesto della serie, soprattutto a
partire dai toni volutamente caricati che le piccole cose hanno cominciato ad
assumere dopo la fine della seconda stagione, quest’ultimo episodio risulta
perfettamente in linea con lo sviluppo voluto dagli sceneggiatori; uno sviluppo
che ha da tempo lasciato la via della plausibilità per i palazzi mentali e le
coincidenze improbabili. Superata una fase iniziale interdittoria, ma
esageratamente coinvolgente, una volta che i protagonisti hanno raggiunto l’isola
del manicomio criminale, la puntata inizia ad assumere i connotati di un
videogioco, con una serie di enigmi utili ad avanzare di livello (o stanza). Questa struttura
apparentemente lineare viene ad intrecciarsi però con altre due storyline:
quella della bambina sull’aereo e quella relativa al passato di Sherlock. Questo
agglomerato di eventi avvolge lo spettatore e lo conduce in un turbinio di
emozioni forti scandite da un cronometro umano d’eccezione. Le luci, i suoni e
la recitazione degli attori riescono a rendere alla perfezione la tensione della
corsa contro il tempo, lasciando lo spettatore incantato davanti allo schermo. La tensione poi culmina nel più classico dei
cliché, dopo una mossa inaspettata di Sherlock. A questo punto però, nel momento
conclusivo del Problema Finale, gli sceneggiatori sembrano aver rinunciato alla
solita ambizione per abbassare la conclusione del caso ad un livello più
semplice. Abbiamo spesso assistito a episodi contraddistinti da più finali o
diverse interpretazioni delle stesse scene poi indirizzate a far valere la
superiorità del protagonista. In questo caso ciò non avviene e la prima
soluzione si rivela essere quella esatta, per poi salvare la situazione di
pericolo attraverso un deus ex machina dell’ultimo secondo, abilmente camuffato
dal taglio del montaggio. Il finale del caso non riesce quindi a tenere viva la
stessa tensione che aveva contraddistinto le sequenze precedenti. L'obiettivo era certamente quello di lasciar emergere l'umanità di due personaggi emotivamente apatici come Sherlock e Mycroft (nettamente il miglior personaggio di questo finale di stagione). Nonostante la scelta poco felice, resta però
una rivelazione sconvolgente a pochi minuti dal finale che mi ha davvero
raggelato il sangue nelle vene, regalato un brivido lungo la schiena.
Dal punto di vista qualitativo invece la puntata rappresenta
la perfetta conclusione di un percorso artistico cominciato con la prima
stagione, sviluppatosi con la svolta registica della terza ed esploso
definitivamente con questa quarta. Ogni elemento tecnico è nettamente superiore
alla media delle altre serie tv. Movimenti di macchina, inquadrature,
scenografie. Due su tutte la scena della bara e quella in cui Sherlock abbatte
la parete fasulla per scoprire di trovarsi dove tutto ha avuto inizio.
Un episodio insomma che riassume perfettamente la storia
e lo sviluppo di questo show: una qualità immensa a servizio di una narrazione
mozzafiato, condita da piccole defiance.
Da "Uno studio in rosa". Ciclicamente tutto si chiude. |
Ma siamo davvero di fronte all’ultimo capitolo di questa
saga storica? Forse. Come ovviamente saprete, i tempi di una serie peculiare
come Sherlock sono totalmente diversi da quelli di qualunque altra serie. Quattro
stagioni in quasi sette anni lo dimostrano. I tempi dipendono in larga parte
dagli impegni altri dei protagonisti e forse questa gestazione complessa non
rappresenta tanto una debolezza quanto un punto di forza, visto il successo
crescente che il programma ha ottenuto in questi anni. Detto questo, come già
accennato nell’introduzione, tale Problema Finale, già a partire dal nome, si
pone come chiusura di una serie di sottotrame aperte e lascia lo spettatore con
un finale che potrebbe essere letto alla luce della serializzazione letteraria
di Arthur Conan Doyle. Sembra che una ritrovata comunione tra i protagonisti
possa aprire le porte ad una serie di avventure che noi non vedremo, ma che
potremo immaginare. Non vedremo più Sherlock e John alle prese con intricati
intrighi internazionali, ma sapremo sempre che essi vivono. Nella Londra
metropolitana della serie loro continueranno a risolvere misteri insoluti, con
la consueta dose di esagerazione. In perfetto stile Sherlock. E a me questo
basta per dirmi felice di una degna conclusione.
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