Abbiamo vissuto di peggio, non c’è bisogno che io elenchi
eventi di portata maggiore. Ma l’elezione di Trump alla Casa Bianca ha fatto
molto rumore, e ancora i cocci della democrazia intelligente sono sparsi sul
viale che camminiamo tutti assieme. Se questa è la democrazia l’avevamo
sovrastimata, ingigantita per qualche tempo, ma è sempre stata questa.
Sono sinceramente lontano da Trump. Ogni volta che indica
il Sole ci vedo la luna. Mi rispecchio nella sua nemesi, quella che abbiamo
perso con la fine delle ideologie. Ciò che mi colpisce nel profondo, mi
disgusta e mi porta ad una considerazione della quale facciamo parte anche noi
Europei è legato alla vittoria di un modello popolare sulle idee che avevamo
quando costruivamo il mondo che abitiamo oggi. Portiamo avanti da sempre una
regola. Esiste un metro per misurare i passi, uno per valutare le reazioni, uno
ancora per comprendere le intenzioni. Abbiamo applicato una norma a ciò che ci
circonda perché tutti abbiano un approccio simile alla situazione e su di esso
si possa costruire un dialogo collettivo. Da sempre seguiamo una regola scritta
o legge, nata dal lavoro degli stessi sottoposti alla punizione prevista dalla
carta. Non arriva dall’esterno, siamo noi ad aver generato i limiti umani ai
quali crediamo, ma non possiamo fare a meno di questa struttura sociale che ci
guida nel mondo. Siamo condizionati nell’inconscio da ciò che sappiamo essere
male e ciò che invece dovremmo perseguire come bene, nostro e di chi ci
circonda. Eppure viviamo di strappi alla regola: abbiamo un bisogno tangibile
di infrangere le norme che ci costringono per poterci esprimere, altrimenti ci
sentiamo oppressi. Operiamo questa necessità in due modi: sbandierando ai quattro
venti le nostre malefatte, quando non sentiamo plausibile la sanzione, oppure
agendo nell’ombra, ma un’ombra però visibile a chi vogliamo che
noti la nostra infrazione. Il superamento del limite alla giuda appartiene al
primo caso. L’automobile è un ottimo esempio di mezzo d’infrazione perché
possiede le caratteristiche strutturali per rendere la soglia dell’illegalità
facilmente raggiungibile e quasi desiderabile. Talvolta ci fingiamo di fretta
proprio per poter superare di qualche inezia il limite che un cartello ci
impone, e questa pratica è così socialmente accettata che ragioniamo in massa
escludendo colui che scioccamente ancora segue le indicazioni del regolamento,
quasi che la norma fosse invece il contrario. Ma continuiamo a temere gli
autovelox e i posti di blocco, perché in fondo sentiamo ancora di essere
costretti dalla normativa che tanto amiamo infrangere.
L’evasione fiscale invece appartiene al secondo caso, ossia
a quelle delle azioni illegali che vengono compiute nell’ombra della fama
negativa. Eludere la tassazione è meno socialmente accettato, ma, in questi ultimi
tempi, ha generato una reazione contraddittoria nella società, quasi a voler
glorificare i paladini dell’illegalità per la loro capacità spiccatamente
sovversiva. In ogni caso, sia nel primo che nel secondo, abbiamo associato a
questi individui una specifica categoria sociale, quella dei “furbetti”. Sono furbetti
quelli che superano i limiti e rallentano prima dell’autovelox, quelli che
evadono le tasse nonostante il loro reddito superi di gran lunga la media
nazionale, quelli che saltano le file con un escamotage imbarazzante, quelli
che viaggiano sulla corsia d’emergenza, quelli che arrivano ad occupare
determinate posizioni in un’azienda grazie alla loro compravendita di favori. Tutti
eventi con un diverso grado di tolleranza in società, ma che si trascinano
dietro una scia d’ammirazione popolare. Ciò che però abbiamo sempre preteso è
il rispetto di queste norme da parte delle figure di potere, da parte di coloro
che nella nostra mente potrebbero avere la legge dalla parte del manico,
essendo loro stessi la legge. Pretendevamo in passato che i politici fossero l’esempio
della trasparenza, poi abbiamo smesso di farlo, concedendo loro altre
occasioni, abbassando le richieste e di conseguenza anche il valore dell’istituzione
politica. Il cittadino non cambia quando entra a far parte del sistema
politico, ma si genera un’aura che lo circonda. È il potere, che dà, ma
richiede un impegno ed una dedizione sovraumani. Quest’aura sta svanendo.
Durante la campagna elettorale americana ha fatto molto
discutere un’inchiesta economica legata alla figura di Trump secondo la quale l’imprenditore
statunitense non avrebbe (legalmente) pagato le tasse per diciotto anni,
sottraendo allo stato una cifra vicina ai 900 milioni di dollari. Trump ha
ammesso questo basso escamotage e ciò non ha fatto altro che fortificare la sua
posizione sociale, sopraelevandolo a rappresentate dei furbetti americani. È riuscito
a mescolare le due categorie di cui sopra, sbandierando pubblicamente un comportamento
negativo, al limite della legalità e decisamente contro produttivo rispetto
alle sue proposte economiche. Ha trasformato definitivamente l’infrazione
oscura in meritocratica infrazione pubblica. La reazione della popolazione americana
a questo comportamento ha dimostrato definitivamente la direzione della società
verso un rifiuto delle norme civili in un periodo di forte regressione sociale
e culturale. La vittoria di Trump segna definitivamente il trionfo dei furbetti
dall’asso nella manica, di coloro che non si preoccupano di sporcarsi le mani
per perseguire un bene, che quasi sempre è un bene personale. La politica non
ha più bisogno della legalità, di un linguaggio diverso, di una postura
ordinata. Abbiamo perso tutti.
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